Gli studenti delle scuole superiori, non gradirebbero più l’insegnamento della religione cattolica a scuola. A sancirlo sarebbero i dati Miur, che, come riporta La Repubblica.it, per le scuole superiori parlano di oltre 560 mila ragazzi (il 21%) che ogni settimana preferiscono fare altro durante l’ora di religione, come uscire dalla scuola in anticipo o entrare dopo, se nell’orario l’ora è piazzata in chiusura o in apertura.
In alternativa i ragazzi potrebbero sfruttare le ore di religione per dedicarsi al recupero di qualche lacuna o seguire le attività alternative organizzate dall’istituto.
È al Nord che si registrerebbe la disaffezione maggiore, con numeri che toccano il 30,4%, quasi uno studente su tre. Addirittura in alcune Regioni, come la Valle d’Aosta (41,6%) e la Toscana (37,4%), la fuga dimezza le classi. Al Sud, con l’8,5% di studenti che escono dalle aule, ancora l’appeal della “disciplina” resiste.
Ma è davvero così?
Da un lato ci sono dati che indicherebbero tale calo della scelta dell’insegnamento della religione cattolica, dall’altro l’intervento dello Snadir, che contesta l’interpretazione del fenomeno: “stando all’ultima rilevazione ufficiale a disposizione relativa all’anno scolastico 2014/2015, soltanto il 12,2% degli studenti decide di non avvalersi dell’Irc (una percentuale decisamente irrisoria rispetto a quanto riportato dall’articolista). A questo, aggiungiamo che, al di là di numeri e percentuali, non viene minimamente considerato il fatto che la maggior parte degli istituti, invece di attivare gli insegnamenti alternativi all’Irc, lascia agli studenti un’ora vuota e disimpegnata”.
Infatti, secondo il sindacato, “scegliere di non frequentare l’ora di religione si traduce quindi, nella testa degli studenti, nella possibilità di seguire meno ore scolastiche. E diciamolo chiaramente: per un adolescente la possibilità di fare un’ora in meno di scuola a settimana è una tentazione spesso irresistibile”.
Orazio Ruscica, segretario nazionale Snadir, preferisce invece ricordare che i “sette milioni di studenti (dati ministeriali), credenti e non, che scelgono di frequentare l’insegnamento della religione mostrano di apprezzare tale insegnamento, che offre loro un solido orizzonte culturale per praticare la tolleranza intesa come impostazione dialogica dell’esistere, come educazione all’esercizio della libertà in una prospettiva di giustizia e di pace”.
In pratica, per il sindacato, sarebbe opportuno soffermarsi “sulla valenza antropologica ed esperienziale di tale insegnamento, lasciando i numeri e le percentuali ad altre discipline”.
Religione e scuola: la polemica costante
Senza dubbio, i dati sulla scelta della religione contestati dallo Snadir gettano benzina sul fuoco alla già complicata convivenza fra religione cattolica e scuola. Come ormai di consueto, tale difficile rapporto viene accentuato proprio le ultime settimane dell’anno, quando si innesca la classica polemica sul presepe a scuola e le festività natalizie.
In queste settimane, questa testata ha raccolto le varie posizioni sul tema. Marco Bussetti, ministro dell’Istruzione, ha affermato a tal proposito che “crocifisso e presepe sono simboli dei nostri valori, della nostra cultura, delle nostre tradizioni e della nostra identità. Non vedo che fastidio diano a scuola. Chi pensa che l’inclusione si faccia nascondendoli, è fuori strada”.
Anche il vicepremier e Ministro dell’Interno Matteo Salvini ha espresso lo stesso concetto: “Non penso che Gesù Bambino o ‘Tu scendi dalle stelle’ possa dar fastidio a qualcuno. Il Natale è un festa così bella che penso possa abbracciare tutte le fedi e tutte le religioni. Chi tiene Gesù Bambino fuori dalla porta della classe non è educatore”.
Ma sono tantissimi i cori di no all’imposizione dei simboli religiosi nelle scuole come crocifissi nelle aule, presepi e recite natalizie.
Insomma, la questione scelta della religione cattolica deve essere incorniciata all’interno del più ampio dibattito religione-scuola pubblica.