Rembado (ANP): “Cancellare i dirigenti scolastici significa tornare al vecchio centralismo”

Il dibattito sulla legge di iniziativa popolare ha riaperto la questione del ruolo e della funzione dei dirigenti scolastici. Ne parliamo con Giorgio Rembado, presidente ANP (Associazione nazionale presidi) e CIDA-Funzione Pubblica

Negli ultimi tempi, sul ruolo e sulla funzione dei dirigenti scolastici si è letto e sentito un po’ di tutto: dirigenti come sindaci, presidi elettivi e così via. L’ultima idea che sta circolando sembra essere quella di cancellare l’articolo 25 del TU 165 e di tornare al “capo di istituto”. Che ne pensa?


Giorgio Rembado
“Talvolta ritornano” o – più correttamente si dovrebbe dire – non se ne sono mai andati davvero. Mi riferisco ai molti avversari dell’introduzione del ruolo dirigenziale dentro alle scuole, che carsicamente emergono o sparisono a seconda delle circostanze e delle convenienze. Questi ripropongono antichi pregiudizi e vecchie ideologie: rappresentano il mondo del secolo scorso, senza aver sottoposto a valutazione comparativa le due realtà contrapposte. Sono perciò al tempo stesso irriducibili conservatori ed espressione di un sentimento nostalgico rispetto ad un passato che non hanno il coraggio di  rimuovere. Non sono pertanto da considerare come i portatori di un diverso modello di governance e neppure come la conseguenza di una verifica negativa di quello scaturito dal passaggio all’impostazione autonomistica, la cui entrata a regime non ha potuto o saputo dare appieno i suoi frutti per il cammino fin qui accidentato della riforma.

 

Il dibattito però è ampio, le proposte sono diverse e diversificate

Giorgio Rembado
Le proposte sono le più diverse, ma tutte accomunate dall’intenzione di eliminare una figura dirigenziale dotata degli appositi poteri. Tutto il resto non conta, vuoi che si riaffacci l’idea di un preside elettivo, quale espressione di una generica rappresentazione del corpo professionale dei docenti, indifferentemente dotato o meno di competenze nel campo della gestione di organizzazioni complesse, oppure più modernamente del sindaco, titolare di un potere di indirizzo che demanda ad altri la responsabilità della gestione dell’istituto. Oppure ancora, in modo più tranciante, la semplice eliminazione della figura del dirigente, da ultimo fatta propria dalla FLC CGIL attraverso il sostegno al disegno di legge di iniziativa popolare, che al suo interno prevede l’abrogazione della norma che attribuì ai presidi la dirigenza dell’istituzione scolastica.

Parliamo proprio di questo, ma dal punto di vista esclusivamente normativo: è davvero possibile cancella l’articolo 25 senza toccare altre leggi e disposizioni?

Giorgio Rembado
Naturalmente no. L’attribuzione della qualifica dirigenziale fu resa necessaria dal riconoscimento alle scuole dell’autonomia, all’interno di un equilibrio di sistema, in cui la prima veniva (pre)vista come strumento della seconda.
Qualora pertanto qualcuno intendesse eliminare la figura dirigenziale in ambito scolastico, si dovrebbe partire da una ridefinizione dei fini attraverso la riconsiderazione dei bisogni di un moderno sistema d’istruzione. Solo a quel punto ci si potrebbe interrogare sui compiti e sulla natura della figura del capo di istituto.

 

Insomma, secondo lei, cancellando l’articolo 25 si ritornerebbe al vecchio centralismo ministeriale..

Giorgio Rembado
A me pare difficile poter sostenere una riesumazione dell’antica scuola dei programmi ministeriali, di un modello educativo uniforme e omologato nell’epoca in cui esplodono le differenze non solo sociali ma soprattutto etniche e linguistiche oppure nella stagione in cui per tutti si chiede un progetto personalizzato di formazione.
Ma, al di là della personalizzazione del curricolo, che sempre più dovrà fare i conti con un ampio spazio di opzionalità che arricchisca a livello locale l’offerta formativa, la dimensione stessa degli istituti, il numero degli addetti, le continue nuove responsabilità amministrative non potranno che sempre più richiedere una figura dirigenziale a capo dell’istituto.

Esaminiam un caso particolare: capi di istituto senza responsabilità dirigenziali, potrebbero gestire la contrattazione di istituto?


Giorgio Rembado
La risposta è ancora una volta negativa. La titolarità delle relazioni sindacali è manifestazione di quella autorità datoriale che trae origine dalla qualifica dirigenziale in quanto espressione dell’immedesimazione del dirigente nell’Amministrazione che rappresenta. Anche in questo caso il sistema della contrattazione decentrata è necessario in quanto risposta, fina ad ora troppo debole, ad un’organizzazione del lavoro che riconosca le differenze di carichi di lavoro e di responsabilità dei singoli dipendenti dell’unità scolastica. Più sarà riconosciuto l’impegno professionale di ciascuno e più si renderà necessario devolvere a livello di istituto la quantificazione di una parte variabile della retribuzione con le conseguenti contrattazioni a livello di istituto. Si potrebbe nutrire un qualche ragionevole dubbio circa il fatto che proprio un tale riconoscimento in termini di giustizia retributiva faccia propendere alcuni detrattori della dirigenza verso il suo misconoscimento a livello di sistema, al fine di perpetuare un modello di appiattimento retributivo del tutto disincentivante qual è l’attuale.

C’è una vecchia questione: molti sostengono che all’Università i rettori sono elettivi e che non si vede perché la stessa cosa non si possa fare nella scuola. Il confronto è giusto?

Giorgio Rembado
Ma la comparazione tra i due sistemi non regge. Intanto perché le due realtà sono connotate da differenze sostanziali notevoli. A cominciare da quella dimensionale: anche gli atenei più piccoli sono molto più ampi per numero di iscritti e di dipendenti rispetto a quello delle scuole più grandi. Ben diversamente ampia per estensione e per costituzione è il livello dell’autonomia di cui sono dotati gli istituti universitari. Profondamente differenti sono poi le finalità degli uni e delle altre: le scuole hanno responsabilità educative e didattiche, mentre gli atenei, accanto alla didattica, debbono rispondere anche dell’attività di ricerca nelle rispettive discipline.
Con tutto ciò, le Università dispongono di profili dirigenziali dotati di poteri propri: questi sono i dirigenti e i direttori amministrativi. Al Rettore spettano funzioni di rappresentanza e di coordinamento, compiti per certi versi più politici e meno tecnici di quelli che sono in capo al dirigente delle scuole.
Al di là del fatto che pertanto le Università e le scuole non sono fra di loro comparabili, come si è prima succintamente richiamato, constatazione dalla quale deriva l’impossibilità di un confronto tra la governance delle une e delle altre, non è poi dimostrato che quella degli atenei possa e debba essere presa come modello da imitare.

Reginaldo Palermo

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