Nel corso del video-messaggio pubblicato il 13 maggio sulla scuola, il premier Renzi dice che non è vero che i presidi avranno la facoltà di chiamare i docenti, che potranno “assumere l’amico dell’amico”, svincolandosi quindi dall’obbligo di utilizzare le graduatorie.
Scorrendo il nuovo testo del ddl di riforma, però, quelle con non sembrano corrispondere al vero appaiono proprio le parole del presidente del Consiglio. Perché all’articolo 2 del testo si legge che “i dirigenti scolastici, con riferimento al piano triennale dell’offerta formativa ai sensi del comma 6, individuano il personale da assegnare ai posti dell’organico dell’autonomia, con le modalità di cui all’articolo 7”.
Non solo: proprio all’art. 7 troviamo scritto che “il dirigente scolastico può utilizzare il personale docente in classi di concorso diverse da quelle per le quali è abilitato, purché possegga titoli di studio, validi per l’insegnamento della disciplina, percorsi formativi e competenze professionali coerenti con gli insegnamenti da impartire”. E, come se non bastasse, che “il conferimento degli incarichi” avviene “con modalità che valorizzino il curriculum, le esperienze e le competenze professionali, anche attraverso lo svolgimento di colloqui”. Ora, a noi e a chi contesta questo passaggio della riforma, appare inequivocabile che se non stiamo parlando della chiamata diretta poco ci manca.
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Ma il premier ha anche detto che è falso dire che con il ddl Buona Scuola i supplenti non potranno più lavorare oltre 36 mesi. Però all’articolo 12, l’unica modifica adottata dai parlamentari della commissione Cultura della Camera è stata quella di posticipare l’avvio del conteggio del triennio massimo di supplenze a quando verrà pubblicato il ddl di riforma. Quindi, presumibilmente, riforma da approvare permettendo, il conto alla rovescia potrà iniziare dal prossimo mese di settembre. E per chi potrà contare sulle supplenze annuali, si esaurirà nel 2018.
Il nuovo articolo 12, comma 1, del resto parla chiaro “I contratti di lavoro a tempo determinato stipulati, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, con il personale docente, educativo, amministrativo, tecnico ed ausiliario presso le istituzioni scolastiche ed educative statali, per la copertura di posti vacanti e disponibili, non possono superare la durata complessiva di trentasei mesi, anche non continuativi”.
Ai lavoratori della scuola, anche questo testo non ha necessità di essere interpretato: tanto che nessuno ha messo in dubbio, sinora, le conseguenze di queste nuove norme. Ma Renzi dice che non è così: che si tratta di falsità. Forse, il premier farebbe bene a preparare un quarto video: quello attraverso il quale, magari accanto ad un tecnico del Miur che ‘mastica’ di scuola, ci farà finalmente sapere che quanto hanno interpretato centinaia di migliaia di persone dalla lettura del ddl è clamorosamente sbagliato.
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