“Education, education, education is the future”. Sono le parole pronunciate il 2 ottobre dal premier italiano Matteo Renzi, intervenendo nella City, alla Guildhall: le stesse che pronunciò 18 anni fa Tony Blair, parlando della riforma della scuola. Blair coniò il suo fortunato slogan sulla necessità di rilanciare l’istruzione durante il discorso al congresso del partito laburista a Blackpool, in corrispondenza del lancio della sua candidatura a guidare il governo inglese.
Quella riforma si attuò e fu affidata al ministro dell’Istruzione David Blunkett: entrò in vigore nel ’98 e fu giudicata dai più come “la più importante dal dopoguerra”. L’intervento di Blair voleva essere ‘culturale’ e pragmatico allo stesso tempo, voleva rimescolare le carte della società superando quella che chiamava ‘l’aparthaid dell’istruzione’ che teneva separato il percorso privato e quello pubblico (nel Regno Unito se ne discute ancora).
Blair tentò di infrangerne il tabù dando il via ad una forma di partnership tra pubblico e privato fino ad allora inedita. Puntava sulla tecnologia, su internet, sull’insegnamento a distanza. “Istruzione, istruzione, istruzione”. Il mantra fu ripetuto anche nel 2001 nella corsa per il secondo mandato, l’impegno fu rinnovato (“aumenteremo la spesa per l’istruzione come fatto nel primo mandato”), la motivazione immutata: “Perché è in una buona scuola che si acquisiscono gli strumenti per la vita e per il lavoro”.
Oggi a rilanciare il ‘mantra’ è Matteo Renzi: l’obiettivo è riuscire a portarlo a termine, con la stessa fortuna. Ci riuscirà?
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