Che alle ultime elezioni nazionali il Pd abbia perso proprio sulla scuola lo dicono i numeri, anche se ben pochi lo ammettono. Renzi lo ha capito: “Il Pd che faremo partirà dalla scuola, non solo come gesto simbolico o perché lì vogliamo recuperare consenso, ma per costruire il futuro”. Lo ha detto a Bari il 12 ottobre, nel discorso che ha aperto la sua personale campagna elettorale per la segreteria del partito.
Secondo Renzi il 43% degli insegnanti vota Pd, “ma non ci siamo mai preoccupati di restituire loro forza sociale e li abbiamo bombardati di riforme”. È stato un atteggiamento indecoroso della classe politica, ammette, tanto più in considerazione del fatto che agli insegnanti affidiamo i nostri figli.
Per “restituire dignità” al ruolo degli insegnanti, Renzi promette che il Pd partirà dalle scuole, aprendo una piattaforma telematica, per una grande campagna di ascolto. Al momento però niente proposte, se non quella valida per tutta la Pubblica Amministrazione della digitalizzazione spinta per una vera semplificazione.
Sarà utile ricordare che alle elezioni del 24/25 febbraio scorso, il Pd, pur essendo il primo partito fra il dipendenti pubblici, non ha saputo fare una campagna elettorale attenta e vincente. Bersani in sostanza si era limitato a dire “Basta schiaffoni agli insegnanti”, senza però aggiungere qualcosa di chiaro e di concreto. Le “Idee ricostruttive per la scuola”, proposte in campagna elettorale, in parte rispolveravano tutto il vecchio armamentario storico del partito, superato dopo l’era Gelmini, Brunetta, Monti, in parte proponevano un libro dei sogni irrealistico e irrealizzabile senza l’indicazione delle risorse. Il Pd Bersaniano non è stato capace di uscire dall’ambiguità su alcune questioni cruciali: dall’innalzamento dell’obbligo scolastico a 18 anni, al conseguente accorciamento di un anno di scuola, al sistema di retribuzione degli insegnanti. Non ha detto con chiarezza se intendeva abbandonare il meccanismo degli scatti di anzianità, parlando di “una retribuzione più alta per chi decide di svolgere a scuola nel pomeriggio la correzione dei compiti, la preparazione delle lezioni, la formazione”, insomma una cosa quantitativa e neppure meritocratica. Intanto i sondaggi nel mondo della scuola davano il Movimento Cinque Stelle in crescita inarrestabile, primo partito con almeno 10 punti di distacco sugli altri.
Naturalmente non dimentichiamo che il programma di Renzi, quand’era sfidante di Bersani, proponeva un modello di scuola che pareva “copiato” da quello portato avanti dalla Gelmini, con tutto l’armamentario tipico della destra, dalla “valutazione della performance”, al rafforzamento del nuovo Sistema di valutazione sul tipo dell’Ofsted britannico, alla valutazione e incentivazione degli insegnanti sulla scorta addirittura del fallimentare progetto “Valorizza”. A suo tempo questo programma era stato molto criticato.
Adesso Renzi sembra essere più attento, se non altro a come fare una campagna elettorale vincente.