Il punto è, dice Bottani, cercare di capire “dove stanno andando i sistemi scolastici. Questo è il tema centrale del volume che è espresso nel sottotitolo: “Ripensare il futuro dell’istruzione”, perché in discussione non è la scuola tout court, ma l’avvenire del servizio statale di istruzione”. Servizio statale che “ha un inizio ben preciso nel corso dell’Ottocento, ancorché questo inizio sia differenziato nei vari Paesi, e avrà anche una fine. In certi Paesi, come nella Svezia, il servizio scolastico statale è sorto ben prima che in Italia. In altri, come in molti Paesi sub-sahariani, i servizi scolastici sono più recenti.
Condivido in ogni modo l’opinione di quella corrente della sociologia comparata dell’istruzione secondo la quale i sistemi scolastici seguono tutti una stessa via, si muovono tutti lungo uno stesso binario. C’è chi avanza più in fretta, chi è partito prima e chi è in coda al treno, ci sono servizi scolastici performanti ed altri invece che vanno al rallentatore o che segnano il passo, ma fra loro sono tutti più simili che dissimili.”
Per quanto riguarda invece il sistema scolastico italiano, Bottani dice di essere “sicuro che ci sono specialisti in Italia che non condividono affatto questa mia opinione, che mi rimprovereranno di non essere sufficientemente attento ai cambiamenti avvenuti nel corso di questi ultimi decenni e soprattutto di questi ultimi anni, ma attendo prove convincenti del cambiamento e per ora queste prove, all’altezza di un grande servizio statale, non le posseggo”. In ogni caso, per l’autore del libro, “i sistemi scolastici statali hanno terminato il loro ciclo. I sistemi scolastici statali hanno raggiunto l’apice della loro evoluzione e sono tutti entrati in una fase calante. E’ mia convinzione che i sistemi scolastici attuali, così come sono stati concepiti, perfezionati, curati, sono destinati a scomparire. La fine di questi sistemi scolastici non sarà indolore e non sarà nemmeno rapida. L’agonia sarà invece alquanto prolungata, anche perché i servizi scolastici dispongono di numerose armi per difendersi. Ci vorrà del tempo per vederne la fine, ma questa mi sembra ineluttabile”. E di contro però Bottani non vede “modelli alternativi che si impongano chiaramente e che siano tali da ottenere l’adesione della maggioranza.
Il tentativo più originale per uscire dai sentieri battuti e per proporre un modello di servizio scolastico statale diverso da quello ereditato dalla società rurale e sedentaria dell’Ottocento è quello dell’esperienza delle Charter Schools americane e delle Academies inglesi.
Purtroppo, diverse osservazioni e valutazioni seminano il dubbio sulla pertinenza di entrambi i modelli, per cui non si hanno certezze, si procede per tentativi ed errori.
D’altra parte le nuove tecnologie digitali, che potranno avere un impatto impressionante sull’istruzione, hanno una storia ancora troppo breve in ambito scolastico per poter dire, dati alla mano, quali scenari apriranno. Peraltro i sistemi scolastici stanno facendo di tutto per incorporarle e neutralizzarle. Ci sono alcuni modelli alternativi di istruzione fondati sulle nuove tecnologie, ma la loro adozione presuppone lo smantellamento dell’apparato scolastico burocratico che oggi dà da vivere a centinaia di migliaia di persone. Si è pertanto ancora molto lontani dal punto di rottura e dal profilarsi di nuovi orizzonti convincenti per l’istruzione delle nuove generazioni.”
E allora, volendo sintetizzare una onorevole “via d’uscita” del servizio scolastico statale, Bottani sintetizza: “pedagogia della povertà. Con questo concetto indicherei due piste.
La prima consiste nell’offrire a tutti i membri delle giovani generazioni un’ istruzione universale comune, un’istruzione minima, ed è per questa ragione che la chiamerei povera, ma acquisita da tutti nessuno escluso. Poco importa l’età alla quale questo “zoccolo comune di competenze conoscenze” sia conseguito. Si potrebbe convenire sull’opportunità che questo patrimonio collettivo comune di conoscenze e competenze sia acquisito prima di qualsiasi studio specialistico e prima di qualsiasi tipo di istruzione e formazione professionale. Poco importa però l’età alla quale si arriva a questo punto che dovrà essere verificato da apposite valutazioni. Quel che conta è l’obiettivo, ma per fare in modo che tutti lo raggiungano occorre sapere essere modesti, essere esigenti e giusti.
La seconda pista della pedagogia della povertà potrebbe contemplare l’abbattimento di un pilastro che, apparentemente democratico continua a creare enormi disparità: l‘universalità delle prestazioni, vale a dire l’accesso gratuito per tutti alla scolarizzazione. Questo pilastro ha in realtà penalizzato i poveri. Una percentuale assai rilevante delle nuove generazioni non riesce nel corso dell’istruzione obbligatoria a valorizzare le proprie competenze e a potenziare la propria personalità. E allora chi ha di più deve pagare il servizio, garantendo a chi ha di meno ottime scuole e bravi insegnanti.
Questa è la sfida che si presenta ai sistemi scolastici statali o pubblici che siano. Poco importa, mi sembra, se si dovrà sacrificare o rinunciare all’universalità delle prestazioni per dedicare molta più attenzione alla popolazione diseredata che nei sistemi scolastici statali attuali soffre ed è irrimediabilmente marginalizzata.”
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