La Retribuzione Professionale Docenti (RPD) è una voce della retribuzione che si aggiunge allo stipendio base e che varia – a seconda dell’anzianità di sevizio – da un minimo di 174,50 euro al mese per arrivare a 273 euro in caso di anzianità superiore a 27 anni.
Soprattutto nei primi anni di servizio rappresenta pertanto una buona fetta della retribuzione, quantificabile intorno al 10% del totale.
Viene corrisposta a tutti i docenti, indipendentemente dall’ordine e grado di scuola e rappresenta una sorta di valorizzazione della professione degli insegnanti.
Anche i docenti precari ne hanno diritto, con un’unica eccezione.
Sembrerebbe impossibile, ma il Ministero attua una disparità di trattamento vera e propria tra i propri dipendenti, escludendo dalla Retribuzione Professionale Docenti i docenti assunti per le cosiddette “supplenze brevi” (che poi tanto brevi non sono: si pensi alle supplenze per maternità o fino al termine delle lezioni).
C’è da dire che tali docenti svolgono le stesse identiche mansioni dei colleghi di ruolo e non di ruolo, ma assunti con contratto annuale.
Oltre al servizio di insegnamento, sono tenuti a partecipare alle attività individuali e collegiali previste nel piano annuale delle attività che si svolgono nei periodi di durata della supplenza (a titolo esemplificativo: consigli di classe e di interclasse, collegi docenti, incontri con le famiglie, predisposizione e correzione delle verifiche, ecc.).
Com’è noto, l’accordo quadro europeo sul lavoro a tempo determinato (sottoscritto anche dal nostro Paese) alla clausola 4 stabilisce:”
“Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive.
Come si è visto, però, nel caso in specie tali ragioni oggettive non sussistono, in quanto tali docenti fanno esattamente le stesse cose dei loro colleghi.
La Corte di Cassazione si è da tempo pronunciata sulla questione, affermando che l’art. 7 del CCNL 15.3.2001 (per intenderci quello che ha istituito l’RPD), interpretato alla luce del principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 dell’accordo quadro europeo attribuisce la Retribuzione Professionale Docenti a tutto il personale docente ed educativo, senza operare differenziazioni fra assunti a tempo indeterminato e determinato e fra le diverse tipologie di supplenze”.
Più recentemente, la Cassazione -proprio con riferimento alla Retribuzione Professionale Docenti- con ordinanza n.6293/2020, ha avuto modo di ribadire tale principio, affermando che non esistono “ragioni oggettive legittimanti un trattamento differenziato per il personale supplente a tempo determinato”.
Il Ministero continua però a far finta di niente, nonostante la mole dei ricorsi che i docenti precari stanno presentando, con esito inevitabilmente sfavorevole per l’Amministrazione.
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