Categorie: Generale

“Riabilitiamo i fucilati della Grande Guerra”

I loro nomi non compaiono sulle lapidi nelle piazze dei paesi, né nell’elenco dei caduti e dispersi: uccisi per fucilazione, per decimazione, dai loro stessi comandanti in esecuzioni sommarie.
Il magistrato padovano Sergio Dini, scrive “Pagina99.it”, per anni in servizio alla procura militare, ha inviato una lettera al ministro della Difesa Roberta Pinotti con cui chiede che si faccia promotrice di un intervento legislativo per restituire dignità e memoria ai soldati uccisi per fucilazione e decimazione. Anche loro “morti per la Patria”, spediti al fronte contro la loro volontà in una guerra di cui non comprendevano gli scopi, come la maggior parte di chi muore in guerra. Viene chiesto un “provvedimento clemenziale” di carattere generale, a favore di tutti i condannati a morte del primo conflitto mondiale.

Nel corso della guerra finirono dinanzi ai Tribunali militari 262.500 soldati, il 6% dei mobilitati. 170mila di questi subirono una condanna. Le condanne a morte furono 4028, di cui 750 eseguite; le condanne all’ergastolo 15.345. In aggiunta alla giurisdizione ordinaria dei Tribunali militari l’art. 559 del Codice Penale dell’Esercito stabiliva che, in caso di gravi reati i cui responsabili venissero colti in flagranza o arrestati per fatti notori o a clamore di popolo, il comandante di un’unità militare potesse convocare un Tribunale straordinario. I “reati commessi in faccia al nemico”, e cioè in prima linea o in combattimento, erano punibili con la morte.

Norme regolamentari e circolari aprirono la strada alla giustizia sommaria. Ad esempio l’art. 40 del Codice Penale dell’Esercito integrato dalle “Norme pel combattimento” del 1 settembre 1913, nonché le direttive del Comando supremo (circolare del 28 settembre 1915), dava la possibilità a qualunque comandante di qualsiasi reparto (anche sottufficiali o semplici graduati) di attuare esecuzioni sommarie, quindi senza processo, al fine di impedire reati militari punibili con la morte, quali sbandamento, codardia, rivolta, ammutinamento, vie di fatto, saccheggio, purchè ci fosse la flagranza e perseveranza nel crimine. Il Comando supremo (telegramma inviato dal generale Cadorna il 1° novembre 1916) invitò alla decimazione, cioè alla fucilazione di un soldato ogni 10 militari in caso di reati collettivi o di incertezza sull’identità dei colpevoli.

Secondo gli storici è impossibile stabilire quante persone siano state uccise per fucilazione o decimazione, perchè in molti casi avvennero nell’immediatezza di attacchi o combattimenti, e comunque non ne resta alcun processo verbale
Anche per le ribellioni individuali era prevista la fucilazione, spesso per riaffermare rapporti gerarchici: era sufficiente che l’ufficiale vedesse nella disobbedienza un grave pericolo per la disciplina per ordinare il plotone di esecuzione, mentre Cadorna scaricò la disfatta di Caporetto (100mila tra morti e feriti nei due eserciti, 265mila prigionieri italiani) sui soldati “vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico”.

Eserciti con tradizioni militari più dure e autoritarie di quelle italiane, come quello austriaco o tedesco, ricorsero alla pena di morte in numero inferiore che non in Italia.

Pasquale Almirante

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