Attualità

Riapertura delle scuole a settembre, ci vuole un grande patto educativo territoriale

“Risolto” il problema di come chiudere l’anno scolastico in corso ci si incomincia ad interrogare su cosa fare partire da settembre.
Ne parliamo con Raffaele Iosa, pedagogista e già ispettore tecnico che per primo ha coniato l’espressione “didattica della vicinanza” in contrapposizione alla “didattica a distanza”.

Il decreto legge dell’8 aprile si occupa molto del problema della conclusione dell’anno scolastico (esami, scrutini e così via) ma dice poco o nulla sul futuro. Non crede che forse bisogna iniziare a pensarci?

Il decreto dimentica quasi del tutto la scuola primaria e quella dell’infanzia. Al centro del decreto, inutile negarlo, c’è il tema mitologico del voto, degli esami, dei programmi, delle promozioni e bocciature, di quella scuola “bottega” di cui parla male don Milani. Alla scuola dell’infanzia non si danno voti, alla primaria non si boccia, quindi che problema c’è? Solito antico tema post gentiliano per cui la scuola che conta non è quella.

Cosa bisognerebbe fare?

La fase del rientro alla normalità non riguarda solo il lavoro, la mobilità adulta, la vita sociale, gli aperitivi in compagnia. Riguarda la condizione di milioni di bambini e bambine che per lunghi mesi (ancora non sappiamo quanto) non solo hanno perso la scuola ma hanno anche perso la strada, i giardinetti, lo sport in compagnia, gli amici e le prime fughe di autonomia in bici. Chiusi in casa.

Siamo sempre alla diagnosi, parliamo della terapia ?

Ci vuole un intervento educativo diffuso di ri-nascita, centrato sull’ educazione e l’autoeducazione, non una terapia ulteriormente isolante. Quando penso a questi bambini di oggi ricordo Jean Itard che, alla fine del ‘700 cerca di rieducare un bambino trovato selvatico nelle foreste francesi.
Itard, che era un medico, propone invece a Victor (questo il nome dato al nostro selvaggio) didattica, non terapia. E Victor risponde.
Nasce con Itard in Europa la pedagogia “speciale” intesa non come clinica isolante ma come specialmente dedicata a lui dopo anni di abbandono totale di quel bambino nella foresta.

Fuor di metafora come si immagina la ripresa?

Io credo che si debba immaginare un progetto speciale di rientro per i bambini, sono convinto che serva un “patto educativo territoriale” in cui scuola, famiglie, enti locali, società civile, associazioni del tempo libero e di vita, della cultura, costruiscano un continuum coordinato di esperienze e pratiche da offrire ai bambini per ri-tornare alla vita.
Sarebbe peregrino pensare solo alle classi e ai programmi.
Bisogna valorizzare quell’autonomia delle scuole che è stata troppo soffocata dal ministerialismo burocratico in questi anni, ci vuole un impegno coordinato del Governo e dei diversi ministeri coinvolti, della Conferenza Unificata Stato regioni-comuni, dell’ANCI, dell’associazionismo e naturalmente dei sindacati, in primis confederali. Vale la pena spendere fruttuosi soldi, perché i nostri bambini sono l’investimento per un futuro possibile.

Dalle sue parole traspare molto ottimismo …

Sto ai fatti. Da febbraio ad oggi nella scuola sono accadute cose straordinarie e per molti versi inattese. Migliaia di maestre e maestri, senza aver precise indicazioni da nessuno, o meglio ancora senza aver bisogno che nessuno glielo chiedesse hanno realizzato, con una spontaneità encomiabile, una fittissima rete di azioni didattiche e relazionali con i loro bambini utilizzando quelle “macchine grasse” che sono i computer et similia.
Hanno cioè abbattuto la distanza (non realizzato la didattica a distanza) tra le celle delle diverse case loro e dei bambini, costruendo una didattica della vicinanza che ha visto esperienze pregevoli, esperimenti di tutti i tipi.

Tutto bene, ma c’è sempre il problema delle risorse

In questi mesi è emersa una nuova dimensione sociale degli insegnanti. Per esempio per i bambini senza strumenti maestri e maestre non hanno atteso la Legge e i soldi dal MIUR, ma hanno mosso parenti, sindaci, parroci, i ricchi del paese per dare a tutti l’opportunità.
Un fenomeno che vale mille corsi di formazione, nato dal basso. E se resta così può dar tesori pedagogici da coltivare, conservare, distribuire.

Ma quando si potrà iniziare a sperimentare qualche forma di rinascita sociale e pedagogica?

Immaginiamo (anzi speriamo) che da metà giugno a fine agosto vi siano “finestre” di uscita da casa possibili, pur con tutte le cautele. E’ un periodo climaticamente favorevole e il peggiore per stare chiusi in casa. Senza lasciare spazio a spontaneismi amorevoli, pur positivi, si potrebbero promuovere e finanziare iniziative da inventare mescolando i classici centri estivi, le colonie marine, le scuole estive e le esperienze scout, offrendo ai bambini da 4 a 11 anni esperienze di vita sociale in comune, più all’aperto che al chiuso delle scuole.

Chi dovrebbe operare in queste realtà?

In queste esperienze di comunità sarebbe opportuno che siano inserite come partner attive le maestre e i maestri (quelle vere, non supplenti per l’occasione) che i bambini hanno a scuola, per turni anche settimanali nei quali si ristabilisca la relazione e si faccia anche un po’ di scuola. Bambini e bambine assieme ad educatori, animatori, e insegnanti a fare comunità educativa con i bambini. L’esperienza italiana sui centri estivi è vastissima, non serve inventare strane cose ma solo inserire qualche ora di scuola buona per rifarsi i muscoli della mente. E stare finalmente assieme.

Ci sono problemi contrattuali e non solo…

Comprendo l’effetto di una simile proposta, e lascio agli enti locali, alle scuole e ai sindacati come dirimere l’incrocio tra diritti dei bambini, organizzazione del lavoro, contratti, e via dicendo.
Ma l’emergenza richiede di andare oltre le abitudini, dura solo questa estate torrida di emozioni.
Non mi sembrerebbe scandaloso pagare di più gli insegnanti, lasciare a forme di volontariato l’adesione, ma è indispensabile che gli insegnanti siano quelli veri della normalità, non surrogati supplenti, altrimenti non funziona.

E a settembre ?

Sarà un ritorno auspicato ma non facile. E sarà condizionato dai livelli di sicurezza previsti per quei mesi dalla scienza epidemiologica. Immaginiamo qui due scenari possibili, escludendo quello di un eventuale ripristino tout court della DAD, quanto meno per scaramanzia, ma per sottolineare che in questo caso ci vorrebbero altri interventi, sia di formazione che di organizzazione.
Si potrebbe immaginare un periodo almeno trimestrale in cui la classe o sezione viene articolata in due, favorendo quindi non l’isolamento ma il diradamento corporale.

Ma come affrontare e risolvere il problema degli spazi?

Penso che con un ulteriore rapporto con l’ente locale e della società civile si potrebbe pensare ad una scuola che, nel limite del possibile e in modo ragionevole, utilizzi altri spazi del territorio. Spazi intesi non come aule–bis ma spazi aperti d’uso per esperienze didattiche sul territorio. Penso, ad esempio, alle biblioteche, alle palestre, alle piscine, alle parrocchie, ecc… Dunque spazi non per stare perché la scuola è piccola, ma spazi perché la scuola si apre e sa usare il territorio come una scuola aperta con opportunità educative e didattiche che spesso nella scuola “tradizionale” si fa solo come spot o nello stile da gite scolastiche.

Sembra di sentire discorsi della pedagogia degli anni 60-70 che, a conti fatti, presenta ancora molti tratti di modernità

Si direi proprio che dovremmo ripensare a quel sistema formativo integrato del lontano ma mai dimenticato Bruno Ciari che può tornar essere utile oggi, per evitare che l’estate alimenti ancora di più le disparità di opportunità tra bambini che ha rischiato di aumentare alla fine dell’inverno e primavera con la didattica a distanza, per quanta vicinanza si è provata a fare.

Forse abbiamo dimenticato di parlare delle famiglie e del loro ruolo

Dobbiamo aiutare le famiglie e far tornare bambini i bambini. L’impegno per la ri-nascita deve anche comprendere la fatica dei genitori a gestire l’isolamento dei figli per lungo tempo.
Anche loro vanno aiutati a ri-staccarsi dai propri figli. Non in chiave assistenziale, si badi bene, ma come fenomeno sociale. E’ ora (speriamo presto) che i bambini tornino bambini, non solo figli.

Reginaldo Palermo

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