Bellissime — come sempre — le parole della Ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina (scritte sul suo profilo Facebook) in occasione del primo Maggio: «Nella giornata per il diritto al lavoro e per i diritti dei lavoratori, la nostra attenzione e la nostra più profonda gratitudine sono rivolte, innanzitutto, a quanti sono impegnati, in prima linea, a lottare, con il loro prezioso lavoro, contro la pandemia, al personale scolastico, che ha saputo reinventare il proprio lavoro, a tutti coloro che vivono nell’incertezza a cui stiamo cercando con tutte le forze di garantire un futuro stabile.
Anche per loro oggi i nostri studenti saranno uniti sui social, all’insegna della musica e della riflessione sull’importanza di questa Festa, grazie a una speciale chiamata alle arti: un “concertone” che li vedrà protagonisti su Instagram, dove potranno postare i loro messaggi e brani».
Parole che dimostrano una grande attenzione al consenso: attenzione lodevole per chi è consapevole di governare in una democrazia parlamentare. Come è lodevole lo sforzo del Governo per tutelare la salute dei cittadini (chiudendoli nelle loro case).
Tuttavia — a parte ogni altra considerazione sui danni che tali scelte stanno già comportando per la nostra economia, per la psiche degli Italiani e per il mondo del lavoro (che il Primo Maggio celebra) — non si capisce perché, parlando di Scuola, e di necessità per gli alunni di stare a distanza quando rientreranno in classe, nessuno parli dell’ordinario sovraffollamento delle aule. Come mai i governanti “dimenticano” l’annoso problema delle classi pollaio?
Un mese fa (ovviamente in televisione, ospite di “Che tempo che fa”) la Ministra si è espressa così: «Per l’autunno stiamo pensando a uno scenario. Nelle classi pollaio è difficile mantenere la distanza, io insieme a tutto lo staff lavoreremo a pensare a tutti gli scenari possibili. Domani in Consiglio dei ministri discuteremo insieme per un decreto che faccia riferimento a questo aspetto».
Si parla di “scenari” per tamponare la situazione nell’immediato; ma si sorvola sull’unica soluzione possibile (e definitiva): aumentare, e di molto, la spesa pubblica riservata alla Scuola, per realizzare classi di 15 o 20 alunni massimo.
Azzolina sa che il problema delle “classi pollaio” non è un dato di natura, ma è il frutto di 30 anni di politiche scolastiche bipartisan a senso unico: quello neoliberistico della riduzione della spesa pubblica. I finanziamenti sono diminuiti soprattutto nei settori istituzionali volti a garantire i diritti costituzionali delle persone; ovvero Sanità e Istruzione. Della Sanità non è questa la sede in cui trattare: basti qui dire che i risultati dei tagli alla Sanità li abbiamo visti negli ultimi due mesi, in cui lo Stato, incapace (per mancanza di strutture adeguate) di curare i propri cittadini, ne ha sospeso i diritti più elementari rinchiudendoli in casa per decreto. Piuttosto, parliamo di Scuola.
Alla Scuola, cioè al diritto dei cittadini all’istruzione, lo Stato italiano riserva le briciole. I finanziamenti, se sciorinati come dato assoluto, possono anche sembrare alti. Ma il dato assoluto va considerato in relazione al PIL, e confrontando la percentuale di PIL destinata dall’Italia alla Scuola con la percentuale che alla Scuola destinano gli altri Paesi avanzati: 3,8% del PIL in Italia, mentre la media dei Paesi dell’Unione Europea è del 4,6%. Danimarca e Svezia, molto meno industrializzate di noi, sono intorno al 7% del PIL. La Francia è al 5,4%. Siamo quint’ultimi in Europa. Ultimi, poi, se rapportiamo la spesa per l’istruzione alla spesa pubblica totale. Eppure, dopo Germania e (forse) Francia, siamo (almeno) la terza economia della UE (e l’ottava del pianeta).
A che serve, dunque, parlare enfaticamente di “scenari”, se il problema non sono i virus, ma le miserie che questo Stato “democratico” destina all’istituzione Scuola (voluta dai padri costituenti per emancipare i cittadini dall’ignoranza)? Da un “Movimento” come quello delle “5 Stelle”, attualmente al Governo da due anni (e che voleva fare la “rivoluzione gentile”) non era lecito aspettarsi qualcosina in più? E invece, nessuno ha più visto azioni coerenti con ciò che gli stessi “pentastellati” proclamavano prima di vincere le elezioni, quando davano ragione in toto quei sindacati di base che queste battaglie portano avanti da decenni. Nemmeno la Legge 107/2015 (ex “Buona Scuola”) sono stati capaci di abrogare, dopo aver preso i voti dei docenti con la promessa di abolirla.
Sta di fatto che in questi giorni si rinnova il rito annuale della consegna degli organici alle Scuole: i docenti continuano a finire in soprannumero perché, evidentemente, gli USR riducono le classi, seguendo i criteri di formazione delle stesse dettati dai tagli draconiani voluti già dalla controriforma Gelmini (8 miliardi di euro, 85.000 cattedre soppresse dal 2008 al 2014), e prima ancora dal Governo Prodi II (più di 3 miliardi). Bottino mai più restituito.
Per quanto tempo ancora studenti, genitori e docenti continueranno a non mettere in dubbio l’immagine che i politici si creano, e torneranno a guardare ai fatti?
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