Dubbi, incertezze, timori contraddistinguono la riapertura delle scuole. Sul tema del rientro in aula e su altre tematiche come ad esempio il corretto rapporto tra Ministero e parti sociali abbiamo voluto coinvolgere il Segretario generale della Uil Scuola, Pino Turi.
Come primo intervento per una riapertura in sicurezza sarebbe stato indispensabile un potenziamento degli organici per consentire la riduzione di alunni per classe (evitando così le cosiddette “classi pollaio”)?
L’intera operazione di riapertura avrebbe dovuto comportare una totale inversione delle politiche seguite negli ultimi venti anni caratterizzate da tagli, contenimento della spesa, politiche neo liberiste.
Il coronavirus ha solo evidenziato, mostrato tutti i limiti, anche drammatici, di queste scelte. Ora è il momento di politiche keynesiane che, applicate alla scuola e all’istruzione, avrebbero un doppio effetto: rilanciare la crescita e l’economia e dare un assetto moderno e democratico al Paese.
La scuola è istruzione, democrazia e partecipazione, come si può sviluppare in aule strapiene? Una consapevolezza che non è ancora pienamente entrata nel patrimonio politico e nelle decisioni del nostro ministro.
Il Mef ha autorizzato l’assunzione di 85mila docenti a tempo indeterminato (metà da Gae e metà da graduatorie concorsi) ma c’è chi fa notare che forse le assunzioni quest’anno si attesteranno soltanto tra le 20mila e 25mila unità, al massimo 30mila.
E’ sempre la stessa storia, il Mef ha ancora gli stessi schemi culturali e politici. Si possono cambiare solo dietro un forte impulso della politica. Il ministro dell’istruzione è stato troppo accondiscendente nei confronti delle politiche economiche del governo, stretto tra mille richiami: meno alla scuola più agli altri settori, magari più utili elettoralmente. Che non si potessero fare le 85.000 lo si sapeva già. I precari saranno sempre molti, troppi.
A proposito della stabilizzazione dei precari, proprio su questo argomento sono iniziate le prime frizioni con la ministra Azzolina, ancor prima dell’emergenza sanitaria.
Voglio ricordare che la piaga del precariato è antecedente alla pandemia e che i sindacati, unitariamente, hanno sottoscritto accordi con due governi e tre ministri. Quello attuale ha inteso stracciare gli accordi che prevedevano come obiettivo primario l’immissione nei ruoli il 1°settembre. Decisione che non gli era estranea visto che proprio l’attuale ministro era presente nella veste governativa di sottosegretario quando l’incarico era di Fioramonti. Un errore clamoroso aver rinviato un problema già urgente.
A volte si ha la sensazione che il Ministro sembra mostrarsi disponibile al confronto quando vuole perseguire un suo risultato e ha bisogno del supporto dei docenti e dell’approvazione dei sindacati, ma poi… In effetti lei, dott. Turi, ha affermato tempo fa “Azzolina è un ministro con cui è difficile parlare perché non vuole ascoltare”.
Il ministro, evidentemente, pensa che i sindacati nel loro ruolo di intermediazione non servano.
Si è convinta, in coerenza con la propria forza politica, che sia bene un “sano populismo”. Lei pensa di rivolgersi al popolo. Come si sa, quando si fa così, si parla soli, si sentono gli umori e i rumori, ma non si ascolta.
Insieme agli altri sindacati confederali del comparto Scuola e a Snals e Gilda Unams, la Uil scuola ha spesso fatto notare che si fanno proclami sulla centralità dell’istruzione che poi non vengono seguiti da stanziamenti congrui. Allora la scuola per qualcuno è una “priorità” solo a parole?
Le recenti parole di Draghi dimostrano che parlare di scuola ed istruzione è un fattore di modernità e di sviluppo necessari in un Paese moderno. Lo sentiamo ripetere nei convegni, nelle riflessioni pubbliche, ma quando poi devono diventare scelte politiche – a cui annettere un investimento – prevale l’istinto, quello neo liberista, che stravolge i valori di solidarietà e i principi sui quali si fonda la nostra Costituzione, e la scuola è il cuore. Una scuola che è stabilmente tra il terzo e il quarto posto nella fiducia dei cittadini, contrariamente alle forze politiche che sono sempre negli ultimi posti. Lo ripetiamo da tempo, la scuola non può essere terreno di scontro politico.
La didattica a distanza è stata un’esperienza in situazione emergenziale: gli insegnanti si sono prodigati con senso di responsabilità e con dedizione, volendo però almeno salvaguardare la loro libertà di insegnamento garantita da Costituzione e contratto. In quel periodo era giusto impegnarsi senza guardare ad orari e condizioni di lavoro, ma senza dimenticare che sono stati gli stessi docenti a consentire di derogare da quanto previsto nel loro contratto di lavoro, nessuno poteva obbligarli. La mia sensazione è che però la Dad (o Ddi come definita adesso) si voglia in qualche modo istituzionalizzare, almeno nella scuola secondaria di II grado (tra l’altro utilizzando piattaforme private), e non limitarla appunto a contesti emergenziali. E molti pedagogisti hanno comunque detto che un uso eccessivo delle nuove tecnologie diventa non più un supporto utile alla didattica ma un elemento negativo, che magari nasconde l’insidia di ridurre il docente ad un semplice “facilitatore”. Lei che ne pensa?
Lo abbiamo detto per primi, da soli e in tempi non sospetti: la DaD non è succedanea alla didattica in presenza, al più ne può rappresentare un pezzo complementare. Siamo stati attaccati, anche pesantemente dalle cosiddette avanguardie dell’innovazione. Ora tutti dicono che la scuola è ben altra cosa e vogliono didattica in presenza e in sicurezza.
Noi siamo sempre più convinti – prosegue su questo tema il Segretario generale della Uil Scuola, Pino Turi – che l’innovazione, la digitalizzazione, siano strumenti per vivere meglio e non possono e non devono sostituire il pensiero, proprio quello che si evolve con il confronto con gli altri e con docenti che ti guardano negli occhi che cercano di farti trovare la strada del tuo particolare talento.
Il processo che guarda alla scuola digitale si scontra con una finta omologazione, con una pseudo modernità che il neo liberismo utilizza per nascondere quelle disuguaglianze che la scuola della Costituzione ha, invece, sempre garantito.
Sono questi i nuovi pericoli, che si possono combattere con più scuola, ma libera e non condizionata. Per noi la scuola è una funzione dello Stato e non un servizio a domanda. E la libertà di insegnamento ne è il segno, riconosciuta ai docenti in funzione del diritto degli alunni ad una istruzione libera, scevra da propaganda o false notizie che solo un’istruzione piegata al pensiero critico può svolgere.
Ma ritorniamo brevemente sul tema dei problemi legati al rientro a scuola: per concludere il rifornimento di banchi monoposto tradizionali e quelli “con rotelle” si dovrà aspettare la fine del mese di ottobre (ma c’è chi parla addirittura del mese di dicembre). Non si poteva pensare prima ai bandi di gara, ammesso che fossero tali banchi la soluzione più adatta al problema?
Per noi la politica dei banchi è alternativa a quella sulle persone. Noi continueremo a chiedere un cambio.
Servono investimenti sulle persone. Non siamo interessati ad una polemica che nasconde ben altre carenze.
Il problema dell’edilizia scolastica è storia vecchia e non certamente imputabile a questo Governo, però interventi mirati non potevano essere avviati già dalla primavera o almeno pensare a strutture provvisorie come prefabbricati e tensostrutture – purché ben attrezzate – invece di suggerire agli enti locali “improbabili”, e in certi casi persino “surreali”, strutture spesso inadatte e con ben differente tipologia di fruizione?
Si tratta di competenze intrecciate tra Stato ed Enti Locali che nascondono un’incapacità a spendere e programmare, che è il problema di questo Paese. Si parla di investimenti in edilizia scolastica dai tempi del governo Renzi che, con la struttura di missione assunta a Palazzo Chigi, aveva stanziato soldi, impegnato mutui della Bei. Oggi viene da pensare che è stata solo propaganda a giudicare dai problemi che ci segnalano i nostri dirigenti scolastici.
Forse è il caso di invertire politica e passare dai grandi poli alle scuole di prossimità: si risolverebbero tanti problemi, a partire dai trasporti.
Mascherina necessaria anche in aula se non c’è il distanziamento di almeno un metro che invece dalle varie esternazioni della ministra Azzolina sembrava assicurato: ci si preoccupa perché non sarà facile per gli allievi tenerla tante ore, ma qualcuno si preoccupa dei docenti che con la mascherina (anche se la cattedra è disposta a due metri di distanza dai primi banchi, quindi a distanza di relativa sicurezza) dovrebbero parlare e magari spiegare per 4 o 5 ore a fila?!
Anche la mascherina ha rappresentato e rappresenta un falso problema ed è alternativo agli investimenti strutturali. Torniamo alla questione centrale: si pensa agli investimenti sulle cose piuttosto che sulle persone.
Virologi e molti medici vorrebbero presìdi per la protezione, la prevenzione e la vigilanza sanitaria a scuola, magari cominciando con l’effettuazione periodica a scuola dei test sierologici per il personale (possibilmente anche per gli alunni al fine di tutelare loro stessi, i loro familiari e pure i docenti), visti anche i problemi a effettuarli presso gli ambulatori di molti medici di base.
Che ci sia bisogno di presidi sanitari, di medici che subentrano in caso di malattia, lo abbiamo rivendicato da tempo, indicando nel Mes la fonte di finanziamento rapido. Ne siamo ancora più convinti da quando l’Istituto superiore di sanità prevede l’individuazione, scuola per scuola, di un referente Covid che deve interloquire con il Servizio di prevenzione della Asl e fare scattare l’allarme ai primi segnali.
Serve personale sanitario esperto e non si può pensare di trasformare i dirigenti, i docenti o il personale Ata in operatori sanitari. Immagino, a scuola, ad ogni colpo di tosse può scattare il panico. Meglio ripensare ed affidare il compito ad un esperto.
Altro grandissimo problema: la sicurezza sui mezzi di trasporto che gli studenti ma anche tantissimi docenti utilizzano per andare a scuola e poi per rientrare. Ma possibile che “la cabina di regia” non ci abbia pensato prima e non abbia quindi affrontato il problema in tempo?
Che si navighi a vista è ormai palese. In questo Paese si riesce a dare risposte immediate all’emergenza come è stato il caso della DaD, realizzata di sana pianta dai lavoratori con risorse proprie.
E’ sintomo che i cittadini sono migliori della loro classe dirigente; all’emergenza rispondono con passione, entusiasmo, quando poi si passa alla fase di programmazione sorgono i problemi di cui stiamo parlando.
Passiamo al rinnovo del contratto: oltre agli aumenti stipendiali occorre preservare i diritti dei lavoratori (in questo caso della scuola) che nessuno può pensare di barattare… per un “pugno di euro”.
Come è noto il contratto è abbondantemente scaduto e per rinnovarlo servono non prima di tutto le risorse economiche, risorse che sono la base per aprire la trattativa, ma idee e valori condivisi – precisa il Segretario generale della Uil Scuola, Pino Turi – che ora non ci sono.
Noi non baratteremo mai la libertà di insegnamento sacrificandola ai meccanismi che sono ancora presenti nella legge 107. Sono valori non negoziabili. Sappiamo anche che la battaglia contro il modello di scuola neo liberista della 107 non è esaurita. Vediamo in giro molti nostalgici.
Molti docenti sono ormai disillusi e scoraggiati (alcuni anche depressi e al limite del “burnout”): per chiudere l’intervista, che cosa si sente di dire loro, su chi fare affidamento per avere un punto di riferimento e non sentirsi “soli”, con scarsa considerazione sociale e spesso persino denigrati?
Gli insegnanti sanno bene che sono loro il punto di forza. Si devono fidare della loro professionalità, della loro esperienza e della loro passione. La scuola della Costituzione è stata affidata al personale, ai genitori, agli alunni che, attraverso la partecipazione democratica la devono preservare dall’invasione dei governi, delle forze politiche, anche dei sindacati se sono invadenti dell’autonomia e della libertà. La scuola nazionale è bene del Paese da proteggere dai continui tentativi di trasformazione e modificazione strutturale. La comunità educante è la chiave per non sentirsi soli.
Dott. Pino Turi, le politiche dei tagli si sono succedute nell’arco degli ultimi due decenni. Non pensa che anche i sindacati non abbiano saputo opporsi adeguatamente?
Nessuno si può tirare fuori, neanche il sindacato, se siamo arrivati a questo punto. Probabilmente la suggestione neo liberista ha lambito anche qualche organizzazione sindacale ma in modo molto diverso dalla politica che nella gestione del potere diventa sempre più autoreferenziale.
Noi abbiamo la fortuna della partecipazione degli iscritti, almeno per i sindacati che tengono alla democrazia, che fanno congressi, che ci riporta alla realtà, nel giusto alveo, quello dei diritti e della giustizia sociale.
Un’ultima domanda: come valuta i tentativi assunti da più parti in questi ultimi anni per depotenziare gli organi collegiali della scuola?
Sono il baluardo della democrazia e della partecipazione. Dobbiamo difenderli tutti e non solo i sindacati, per evitare una deriva autoritaria che inevitabilmente ricade sul Paese. Ecco perché la nostra organizzazione ricorda, al proprio interno e all’esterno, che la bussola è la Costituzione. Quella su cui anche i ministri giurano.
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