Chi deciderà quando si tornerà scuola, quando non ci sarà più il pericolo di contagio da Coronavirus? Il Governo o gli epidemiologi? Sono molti gli italiani che se lo chiedono. Il dubbio si è ampliato dopo lo scambio di battute, durante la trasmissione Che tempo che fa, andata in onda domenica 6 aprile su Rai Due, tra la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina e lo scienziato e divulgatore scientifico Roberto Burioni.
La titolare del ministero dell’Istruzione ha confermato che per decidere quando torneranno otto milioni di alunni in classe e oltre un milione tra docenti, Ata e presidi, sarà decisivo “quello che le autorità sanitarie diranno”.
Il medico, accademico e divulgatore scientifico ha replicato che su un possibile ritorno a scuola degli alunni italiani “la scienza dice ‘prudenza’, ma poi tocca alla politica scegliere”.
Lucia Azzolina, ha quindi ribadito che “la politica sarà ancora più prudente e si assumerà tutte le responsabilità, mai e poi mai metteremo a rischio la vita degli studenti”.
Quindi, come se ne esce? Ha ragione Matteo Renzi, quando dice che non bisogna commettere l’errore di far scegliere alla scienza, ma è la politica tenere in mano l’economia del Paese? Si può pensare che in una condizione di reale pericolo di contagio si possa davvero, dopo Pasqua, riaprire le fabbriche e, a seguire, le librerie, le messe, i negozi e le scuole?
Ha ragione il virologo milanese Fabrizio Pregliasco, quando sostiene che “le misure devono restare stringenti fino dopo Pasqua” e “ritardando l’ingresso a scuola dei piccoli, che possono essere veicolo del virus”?
A sentire gli italiani, probabilmente no. A sentire, il popolo della scuola, certamente no.
Negli ultimi giorni, alla nostra redazione sono giunte indicazioni – lettere, e-mail, commenti agli articoli e altro – tutti connotati dallo stesso pensiero: tornare a scuola in queste condizioni, con centinaia di persone che ogni giorno perdono la vita e i tanti contagi ancora in atto, è una richiesta improponibile.
Moltissimi genitori, ad esempio, hanno detto chiaro e tondo che non manderebbero i figli a scuola per pochi giorni e qualche settimana di lezione.
E non c’è da biasimarli. Pensare, infatti, che a breve la situazione di pericolo possa cambiare radicalmente è auspicabile. Ma non si può andare oltre alla speranza.
Se anche se i contagi “interni” si dovessero azzerare, infatti, chi può garantire che non via siano ritorni di contagio, come sta accadendo in Cina proprio in queste ore?
Pensare che anche uno degli oltre otto milioni di alunni e studenti possa ritrovarsi ricoverato in ospedale per avere preso il Coronavirus a causa di un ritorno affrettato a scuola, sarebbe imperdonabile.
Ma c’è anche la particolare condizione riguardante la mission della scuola che propende per un ritorno tutt’altro che affrettato: tornarci tra due settimane, due mesi o cinque mesi non comporterebbe alcun danno produttivo.
Su questo punto, ha ragione Azzolina quando dice che le scuole dovranno riaprire quando non sarà alcun rischio: l’eccesso di prudenza è da apprezzare.
Siamo invece meno d’accordo con la ministra dell’Istruzione, quando dice che il via libera dovranno darlo gli scienziati. Il ritorno in classe, quando si realizzerà, lo decideranno i politici. Certamente sulla scorta delle indicazioni dei virologi. Ma la responsabilità ultima sarà di chi firmerà i decreti. E di certo, quella decisione dovrà essere corretta.
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