La notizia dello studente universitario morto in un tragico incidente in auto, ha lasciato tutti molto scossi, soprattutto dopo le recenti rivelazioni.
Riccardo Fagin, 26 anni di Abano Terme (Padova), è morto in un incidente stradale proprio alla vigilia della sua laurea in Scienze Infermieristiche. Tutto era pronto, la festa al ristorante, i fiocchi rossi sulle grate della casa. Ma la laurea è stata smentita dall’università stessa, che ha comunicato non solo di non avere sessioni in programma, ma anche che Riccardo non era ancora vicino al traguardo.
Da quel momento sono partite le indagini per verificare se davvero si tratti di un incidente o se lo studente abbia volutamente causato la sua morte. La famiglia appare molto devastata dall’onda di dolore, duplice, che stanno vivendo: la perdita del figlio e la scoperta di una realtà parallela, fatta di bugie e malessere nascosto.
A dare voce a questo dolore è la madre del ragazzo, Luisa Cesaron, che in un’intervista a Repubblica prova a lanciare anche un appello ai genitori.
“Lo vedevamo un po’ fermo. Lo riprendevamo perché si muovesse con questa benedetta laurea. Forse, però, l’abbiamo aggredito troppo” – ha dichiarato la madre. “Ci eravamo accorti che non si dava da fare ma adesso, di fronte a questo baratro, mi chiedo: quanto ha sofferto mio figlio? Lui non voleva deludere noi. Se solo ce lo avesse detto, avremmo provato ad aiutarlo. Non l’avremmo punito. Forse avremmo litigato, ma poi saremmo andati avanti dandogli una pacca sulla spalla”.
E continua: “Vorrei lanciare un appello ai giovani: se avete qualche problema, confrontatevi con i genitori. Per qualsiasi cosa, per una piccola bugia, parlatene. Tirate fuori ciò che avete dentro, altrimenti si creano muri impossibili da scavalcare. Ma vorrei lanciare anche un appello ai genitori. Se i figli vi raccontano qualche bugia, non dico di perdonarli subito ma di provare a comprenderli. E di cercare di captare segnali, anche dalle piccole cose. Adesso penso e ripenso a qualche particolare, a cui non davamo peso”.
“Ci sembrava che Riccardo avesse soltanto qualche giornata strana, magari solo le scatole girate. Invece aveva indossato una maschera. E noi non ce ne siamo mai accorti. Salvatevi da tutto questo dolore”, conclude la signora Luisa.
“La responsabilità me la sento addosso. Mi rimprovero di non aver saputo leggere i segnali, di non avergli insegnato a essere più forte, almeno ad avere quella forza che serve per chiedere aiuto. Provo vergogna come genitore”, ha detto il padre, Stefano, al Corriere della Sera.
“Riccardo si è sentito in trappola – ha proseguito – e io, in questi 26 anni, non sono riuscito a trasmettergli la consapevolezza che, in realtà, non era solo, che mamma e papà potevano comprenderlo e sostenerlo nell’affrontare le difficoltà che la vita gli avrebbe messo davanti, fallimenti compresi. A noi non ne aveva parlato e neppure a suo fratello. E a quanto sappiamo anche gli amici erano convinti fosse a un passo dalla laurea. Sia chiaro: non sono arrabbiato con mio figlio, non gliene faccio una colpa per non aver saputo gestire le sue debolezze. La responsabilità, semmai, me la sento addosso”.
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