Riconoscere la sindrome di burnout nella scuola, tra i docenti, è stralegittimo: non occorre alcuna commissione tecnico-scientifica, quella che nel 2018 verrà probabilmente allestita dal nuovo Governo, per accertare se chi sta in cattedra svolge o meno un lavoro gravoso. Il grado di stress e di patologie che ne derivano, senza ombra di certezza per chi svolge il lavoro di insegnante, è accertato da tempo.
Il concetto è stato espresso dal nostro direttore, Alessandro Giuliani, lunedì 20 novembre in diretta su Radio Cusano, nel corso della trasmissione settimanale “L’angolo del direttore”.
Il problema è che mandare in pensione decine di migliaia di docenti prima del tempo ogni anno, avrebbe dei costi che lo Stato non vuole, o più probabilmente non può permettersi.
Giuliani ha tenuto a ribadire che “dal Partito Democratico è arrivata l’ammissione che l’avere annoverato i maestri delle scuole dell’infanzia tra le professioni logoranti è stata una scelta dettata principalmente dall’esigenza di compensare il danno procurato, visto che è stata l’unica categoria di docenti a non aver partecipato al piano di assunzioni della Buona Scuola. Quindi, serviva mandare in pensione un po’ di gente per incentivare il turn over. Per gli altri insegnanti, però, non c’è alcun apertura in questo senso”.
“In assoluto è inammissibile – ha detto il direttore – che un docente a 65-67 anni e oltre debba obbligatoriamente ancora insegnare a dei giovani che hanno 50 e più anni meno: anche perché a quell’età insegnare comporta un inevitabile innalzamento dello stress”.
“Solo che la linea contraria del Governo era tracciata da tempo: nelle ultime settimane è stato aperto l’anticipo a 15 professionalità, inizialmente dovevano essere 11, particolarmente logoranti. Poi è stata spostata in avanti, di sei-otto mesi quando sarà costituito il nuovo Governo, la discussione sulla possibile estensione ad altre categorie o professionalità. Ed esteso al 2019 l’Ape Social”.
Pensare che il Governo avrebbe aperto l’anticipo pensionistico anche alle donne, è un’ambizione legittima, ma che non poggiava su alcun fondamento reale.
“Francamente, nessuno si aspettava che a fine legislatura ci fosse stata un’inversione di tendenza per affrontare un impegno così probante: la rottura della Cgil con l’esecutivo e gli altri sindacati, quindi, è dettata più da motivi politici, dal voler probabilmente prendere le distanze dal Pd e dal seguire la linea bersaniana, piuttosto che da una posizione sindacale”.
Nel corso della trasmissione, si è anche parlato anche dell’occupazione studentesca del liceo Virgilio di Roma, di cui sta parlando tutta l’Italia.
Secondo Giuliani “non c’è nessun caso Virgilio, ma una tendenza nazionale. Da diversi anni le scuole vivono le occupazioni con maggiore difficoltà: si tratta di una deriva che è lo specchio della società. Basta meno del 10% di studenti per poter creare seri problemi, visti i danni procurati e che non hanno il rispetto per quello che è un bene pubblico”.
“Spesso un manipolo di studenti, dei leader negativi, si portano dietro dei ragazzi fragili: la situazione è degenerata, con la preside del Virgilio che ha ammesso di non avere più alcun controllo della situazione, né di poter gestire determinate emergenze. I presidi hanno responsabilità enormi e le loro denunce, quasi un ‘grido di dolore’, sono condivisibili. Anche perché va in difesa di quei ragazzi, la maggior parte dell’istituto, che stanno subendo questa occupazione”.
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