Come accaduto qualche mese fa, la riconversione programmata dal Miur sul sostegno sta provocando un crescendo di indignazione. La stessa inevitabile proroga, all’8 giugno, della scadenza per aderire al corso riservato al personale inserito nelle graduatorie con personale in soprannumero sembra favorire il coro di proteste contro il loro svolgimento. Ancora una volta, a far discutere sono le modalità di organizzazione dei corsi: con poco più di 400 ore, comprensive di laboratori e tirocinio, i docenti di ruolo acquisirebbero quelle competenze che i colleghi (in larga parte precari) hanno fatto proprie con un impegno almeno doppio. Inoltre, fa discutere la decisione di viale Trastevere di puntare alla riconversione del personale su un settore d’insegnamento (la disabilità) che dovrebbe essere ad appannaggio esclusivo di coloro che hanno nel loro dna la propensione ad aiutare ragazzi con problemi di apprendimento. Mentre, per coloro che sono in possesso di una sola abilitazione (in particolare insegnanti di materie professionalizzanti, in particolare gli Itp) quella di riconvertirsi sul sostegno ha il sapore dell’ultima spiaggia. Una scelta obbligata, in sostanza, per evitare lo spettro della mobilità forzata: a livello nazionale, infatti, vi sono quasi 40mila posti che in estate sarebbero stati assegnati tramite contratti di supplenze. Mentre i prof di ruolo privi di titolarità sono poco più di 10mila. E quindi per loro le possibilità di ricollocarsi (se si eccettua qualche situazione al Sud) sono altissime.
Il rischio, sostiene il popolo dei contrari, capitanato dai precari che rischiano di ritrovarsi senza supplenza, è però quello di ritrovarsi con un’ampia fetta di specializzati che hanno svolto questo scelta solo per necessità. Senza contare i problemi annessi al titolo di studio. Nella circolare ministeriale n. 7 si indica che gli uffici scolastici periferici potranno assegnare i neo-specializzati già al termine del primo dei tre moduli (quindi solo dopo poco più di 100 ore di formazione), in un’area unica, quindi prescindendo dal titolo di studio dei corsisti. Il rischio (purtroppo fondato) è così quello di ritrovarsi con molti degli attuali soprannumerari a svolgere materie che non hanno svolto nemmeno durante il loro corso di studi: esemplare è il percorso formativo di un Insegnante tecnico pratico, che ha frequentato un istituto professionale, non ha mai svolto un esame all’università, ma che ora (nel volgere di pochi mesi) potrebbe essere catapultato dai laboratori ai banchi per supportare uno o più ragazzi disabili nell’acquisizione di argomenti (filosofia, greco, latino, ecc.) di cui probabilmente non ha alcun genere di conoscenze.
Di questa situazione si sta occupando anche il Parlamento. Nei giorni scorsi il Pd ha depositato una risoluzione in commissione Cultura: “siamo sorpresi – ha detto l’on. Tonino Russo, primo firmatario della risoluzione – di come il Ministero non abbia tenuto assolutamente in considerazione il diritto alla qualità dell’insegnamento penalizzando non solo i docenti specializzati ma soprattutto gli alunni che si troveranno come docenti di sostegno persone che verrebbero formate troppo frettolosamente. Mi pare opportuno che venga avviata una seria riflessione che valuti altre soluzioni”. Russo ha chiesto, quindi, una “correzione di marcia, a partire dal ritiro del decreto”: in caso contrario si aprirebbero le porte a “nuovi contenziosi di massa, i cui esiti giurisprudenziali appaiono scontati”.
A produrre i contenzioni sarebbero, ovviamente, i precari scalzati. Molti dei quali, nel frattempo, non sembrano voler solo aspettare gli eventi. Un gruppo di loro ha deciso di restituire al ministero dell’Istruzione (via posta) il titolo di specializzazione acquisito presso le università al temine di un corso biennale: a cosa è servito, sostengono, se ora lo stesso viene acquisito da personale demotivato e con modalità fortemente semplificate?
La pensa così pure Domenico Pantaleo, segretario Flc-Cgil, per il quale questi “corsi generano una disparità di trattamento fra docenti, in quanto il titolo verrà conseguito con modalità diverse rispetto a quelle richieste al personale oggi in servizio, innescando una poco costruttiva ‘guerra fra poveri’” e producendo “un notevole danno agli studenti disabili”.
Dello stesso avviso sembravano essere anche le associazioni dei disabili, capitanate dalla Fish, la Federazione italiana per il superamento dell’handicap: alcuni mesi fa, quando l’Ansas, l’Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica, annullò di fatto una riconversione ancora meno formativa, ebbero un ruolo attivo nel contrastare l’iniziativa. Ora, al secondo tentativo dell’amministrazione, non si sono ancora espresse. Nei prossimi giorni saranno chiamate, per forza di cose, ad uscire allo scoperto.