Lo scrittore e giornalista Paolo Di Stefano, su Il Corriere della Sera, si è inserito nel dibattito relativo agli ormai troppo frequenti ricorsi al Tar da parte di genitori di alunni bocciati, rimandati, o, sembra un controsenso, promossi. Secondo Di Stefano la situazione non è affatto rosea.
“Giudicare chi giudica non è un bell’esercizio”
Alla base di questi continui casi giudiziari sembra esserci la scarsa fiducia che le famiglie hanno nella scuola: “Tra le famiglie e la scuola i conflitti aumentano e la loro soluzione viene sempre più affidata al giudice amministrativo. Resta aperto il dubbio su tutte le disparità — sociali, geografiche, eccetera — ma ora che i reclami si estendono alle promozioni, c’è da aspettarsi che si entrerà progressivamente nel merito dei voti: e il giudice dovrà sentenziare se era più giusto un 7 o un 6, un 8 o un 5, o viceversa se il 6 era un voto troppo largo per educare davvero all’impegno”, ha detto, con un po’ di sarcasmo.
“Insomma, giudicare chi giudica non è mai un bell’esercizio, ma tanto meno lo è nella scuola, dove la fiducia dovrebbe reggere i rapporti tra docenti e alunni, tra famiglie e insegnanti. C’è da chiedersi che idea si farà della scuola un bambino il cui maestro è stato bocciato dal Tar. E che considerazione avranno di genitori che intervengono comunque a sua protezione? Il sospetto è che nel bilancio totale, il patto preliminare di non belligeranza (con dialogo) dia risultati molto più utili”, ha concluso, pensando alle conseguenze di questo impeto protettivo a tutti i costi dei genitori nei loro figli.
Il caso avvenuto a Tivoli
Ha fatto discutere il caso della studentessa di Tivoli con sei insufficienze bocciata e poi ammessa alla seconda media dal Tar dopo il ricorso avanzato dai suoi genitori. Dopo il polverone che si è alzato contro questa pratica ormai comune, che provoca nei docenti un senso di delegittimazione, tanto da spingere a dire la propria anche il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, a parlare sono proprio i genitori della ragazzina.
Questi, a Il Messaggero, hanno difeso la loro decisione. “Abbiamo ritenuto opportuno rivolgerci alla magistratura dopo una serie di colloqui infruttuosi tra noi e la scuola. Siamo stati insoddisfatti della risposta, con una motivazione che presentava vizi formali e sostanziali. Riteniamo che non sia stato considerato il miglioramento di un’alunna di 11 anni nel primo anno di scuola media. Nostra figlia era migliorata in 7 materie e in alcune il miglioramento non è stato reso possibile”.