I lettori ci scrivono

Ricostruire o ristrutturare la scuola italiana

Se un edificio diventa troppo vecchio e decaduto nasce l’esigenza di abbatterlo e ricostruirlo secondo nuovi canoni edilizi ed architettonici. In effetti recuperarne il vecchio splendore dopo decenni di totale abbandono non si configura come una operazione utile sotto l’aspetto economico e della utilità che l’edificio ristrutturato potrà avere in un contesto edilizio circostante che nel frattempo si è evoluto, migliorando la fruibilità abitativa e la gestione degli spazi esterni. Tale scelta diventa però altamente opinabile o sconsigliata del tutto se l’edificio si trova nel centro storico di una importante città.

In questo caso il valore dell’area, lo stile architettonico prevalente della zona, il particolare pregio artistico dell’edificio ne suggeriscono un saggio restauro ed un ripristino del suo aspetto originario in quanto l’edificio continua ad avere un valore elevato. A quale dei due tipi di edificio possiamo paragonare la Scuola italiana? Nonostante le innumerevoli pecche del passato possiamo dire che il nostro ente formativo ha sempre sfornato tantissime figure di prestigio in tutti i settori del sapere. Bravissimi amministratori, tecnici, letterati, scienziati e figure dirigenziali hanno permesso all’Italia di collocarsi ai primi posti a livello mondiale nella graduatoria dei Paesi più industrializzati e tecnologicamente avanzati.

Se siamo quello che siamo lo dobbiamo al fatto che gli italiani sono un popolo di creativi e questo lo dobbiamo anche alla formazione che abbiamo ricevuto a scuola. Una formazione scolastica che ci ha permesso di sviluppare un pensiero divergente, critico e analitico. Una formazione scolastica in grado di produrre “teste” pensanti, oltreché tecnici con evidenti capacità. Questo edificio mi sembra quindi “antico” ma carico di valore e di potenzialità. Abbatterlo sarebbe una tragedia. Al suo posto si creerebbe un vuoto incolmabile. Annasperemmo semplicemente nel ritrovare la nostra identità di Italiani. Non sempre ciò che è nuovo è migliore del vecchio.

I processi evolutivi in natura ci insegnano che i cambiamenti sono resi necessari dal doversi adattare. Ma ci sono anche molti esempi di evoluzione che si basa su una selezione stabilizzante che mantiene complessivamente statica la specie. Ciò perché quell’adattamento, rappresentato da un particolare pool di caratteri, continua ad avere un successo adattativo maggiore rispetto ad altri caratteri emergenti. In pratica, fino a quel momento, non esiste un modello strutturale e fisiologico realmente migliore per la specie. La natura ci insegna che non vale il principio di cambiare solo per cambiare ma a volte è utile mantenere il modello antico perché, comunque, sono di più i vantaggi che gli svantaggi. Nella Scuola degli ultimi decenni abbiamo assistito quasi ad una frenetica ricerca di modelli educativi alternativi, ispirati alle esperienze didattiche realizzate in altri Paesi europei e non solo.

Quasi come chi crede che la verità assoluta proferisca solo dalla bocca degli altri. E così abbiamo pressoché dimenticato l’importante ruolo che ha avuto la didattica pensata e realizzata nel nostro Paese.  Nomi come Maria Montessori (primi del ‘900), Alberto Manzi (anni ’60), Mario Lodi e Don Lorenzo Milani (sempre anni ’60) ci hanno suggerito, con il loro esempio pedagogico ed il loro impegno sociale, delle eccellenti prassi educative che non devono essere ritoccate da nessuno. Tutti i principi didattico – educativi sono presenti nel loro operato. Dobbiamo solo seguire il loro esempio. L’attuale realtà culturale mediatica ha però disorientato l’azione formativa della Scuola perché sono cambiati i bisogni culturali e sociali. Bisogna però comprendere che esistono delle esigenze formative non percepite e non desiderate dalle masse educande ma estremamente importanti che impongono una “forzatura” formativa ai nostri giovani per il loro bene e per il bene di tutta la società. Il disinteresse verso la formazione classica rispetto a quella mediatica non può di per sé rendere vetusta ed inutile la prima.

Conoscere la Matematica o la Fisica o la Chimica, ecc. rimane una esigenza formativa improcrastinabile per preparare nuove generazioni competenti ed in grado di gestire il complesso mondo tecnologico moderno. Si rende quindi necessaria un’azione di “ristrutturazione” della formazione scolastica, non di ricostruzione. Ristrutturazione da realizzare attraverso una rivalutazione della cultura di base che passa attraverso una richiesta, da parte dei docenti, di migliori e reali competenze possedute dai loro ragazzi. I nostri giovani stanno gradualmente perdendo la capacità ad impegnarsi come conviene e in modo da essere garantiti nel raggiungimento delle necessarie competenze richieste dagli standard europei ed internazionali.

In altre parole, non sanno studiare. E non lo sanno fare perché parecchi insegnanti si accontentano di quel poco, o quasi nulla, che riescono a dire quando vengono sottoposti a verifica.  Certo questo non è vero per tutti. I ragazzi studiosi continuano ad esistere come pure gli insegnanti esigenti, per fortuna! Ma i livelli si sono abbassati alquanto. Concludendo, la Scuola italiana è ancora perfettamente valida nel formare i nostri giovani, ma ha bisogno di recuperare alcuni dei suoi strumenti di lavoro. Lo strumento chiave che serve più di tutti è la valutazione meritocratica, ormai immoralmente quasi del tutto perduta, che, come una leva di primo genere antica ed arrugginita, riesce ancora a sollevare e far emergere dall’oblio il vero profilo culturale dello studente, facendo perno sulla volontà educatrice dell’insegnante.

Giuseppe D’Angelo

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