Il personale della scuola che ha svolto supplenze, ai fini della carriera ha diritto vedersi riconoscere per intero tutto il periodo del precariato, compreso quello dopo il quarto anno. Senza così attendere tra i 16 e i 20 anni dopo l’immissione in ruolo, come accade oggi. A stabilirlo, dopo una lunga battaglia giudiziaria avviata nella metà degli anni Novanta, è stata la Corte di Cassazione – IV Sezione Lavoro – che il 28 novembre ha emesso una doppia sentenza, la n. 31149 e n. 31150, la quale va a mettere mano su uno dei punti più contestati dal personale scolastico che ha fatto una lunga “gavetta”.
Il rilevante parere della Cassazione – sulla quale pesa quanto previsto dalla clausola 4 della direttiva UE n. 70/99, la stessa che ha riconosciuto la parità di trattamento economica tra il personale di ruolo e precario – sovverte gli articoli 485 e 569 (specifico per gli Ata) del d.lgs. n. 297 del 1994, i quali riducono di un terzo i servizi svolti dai precari superiori a quell’arco temporale. E, a nostro parere, potrebbe avere effetti anche nel prossimo Contratto collettivo nazionale di lavoro.
Con la prima sentenza, rivolta tutto il personale, la Cassazione ha stabilito che nel settore scolastico l’articolo 485 del d.lgs. n. 297 del 1994, nei casi in cui determina il riconoscimento al personale docente assunto con contratti a termine, e definitivamente immesso in ruolo, di un’anzianità inferiore a quella riconoscibile al docente comparabile assunto a tempo indeterminato, “si pone in contrasto con la clausola 4 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva n. 99/70/CEE e va pertanto disapplicato”.
Ai fini di tale verifica, gli ermellini hanno comunque specificato che non vanno presi in considerazione gli intervalli non lavorati, né va applicato il criterio dell’equivalenza di cui all’art. 489 dello stesso decreto.
Allo stesso modo, con la sentenza n. 31150, sempre del 28 novembre, si stabilisce che nel settore scolastico l’art. 569 del d.lgs. n. 297 del 1994, nella parte in cui limita il riconoscimento al personale Ata assunto con contratti a termine e definitivamente immesso in ruolo, di un’anzianità pari al servizio effettivo prestato, “si pone in contrasto con la clausola 4 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva n. 99/70/CEE e va pertanto disapplicato”.
Tra i primi commenti alla doppia sentenza della Cassazione, si registra quello dell’Anief, che attraverso i legali Nicola Zampieri e Walter Miceli ha portato avanti la teoria del riconoscimento integrale del servizio pre-ruolo, ora adottata dalla Cassazione: a questo punto, proprio alla luce dell’espressione dei giudici, il sindacato non si limita a rilanciare i ricorsi, ma si leva qualche “sassolino dalle scarpe” rispetto al ministero, ritenendo che “l’interpretazione della Sentenza Motter fornita dall’avvocatura dello Stato non sia attendibile, in quanto da una lettura complessiva della sentenza emerge che la Corte di giustizia europea – contrariamente da quanto affermato dal Miur– ha ritenuto irrilevanti le diverse modalità di assunzione o la natura determinata del rapporto di impiego e ha quindi demandato ai Giudici nazionali di accertare in concreto, caso per caso, se il personale precario abbia beneficiato di ulteriori vantaggi nella ricostruzione di carriera, sufficienti a giustificare la disparità di trattamento rispetto al personale di ruolo, dovendo in caso contrario disapplicare il cit. art. 485”.
È bene ricordare che vanno considerati nel computo degli anni pre-ruolo da valutare, non di certo le supplenze temporanee di breve o media durata, ma solo i servizi svolti oltre i 180 giorni oppure ininterrottamente dal 1° giorno di febbraio sino alla fine dell’anno scolastico.
Va anche sottolineato che ad essere interessati alla restituzione degli aumenti non percepiti sono tutti docenti e Ata che si sono visti sottrarre quattro mesi per ogni annualità superiore ai quattro anni: per intenderci, ad un insegnante, ad un amministrativo o ad un collaboratore scolastico che ha svolto dieci anni di precariato, vengono oggi sottratte ben due annualità di carriera.
Questo significa che il passaggio da un “gradone” all’altro, con un aumento lordo medio attorno agli 80-100 euro, avviene con due anni di ritardo. E in tempi di magri stipendi, non è proprio una bazzecola.
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