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Ricostruzione di carriera, cosa cambia dopo la sentenza della Cassazione [VIDEO]

A fine novembre è stata depositata dalla Cassazione una decisione molto attesa dal personale della scuola, in quanto pone fine ad un lungo contenzioso.

Con sentenza 28 novembre 2019, n. 31149, la sezione lavoro della Corte di Cassazione ha preso posizione sulla questione riguardante l’applicazione del principio di non discriminazione tra docenti di ruolo e precari in merito alle disposizioni del d.lvo n. 297/94 laddove prevedono che i servizi pre ruolo vengono riconosciuti, indipendentemente dal numero di ore settimanali d’insegnamento svolte, solo per gli anni scolastici interi, intendendosi per tali solo quelli lavorati un periodo di servizio di almeno 180 giorni o ininterrottamente dal primo febbraio sino al termine degli scrutini, nonché laddove prevedono che ai fini della ricostruzione di carriera il servizio pre ruolo va computato per intero limitatamente ai primi 4 anni, mentre il restante periodo viene computato nei limiti dei due terzi.

Abbiamo sentito in merito l’avvocato Nicola Zampieri, che ha discusso questa causa innanzi alla Suprema Corte all’udienza del 15 ottobre scorso e che ci ha gentilmente inviato una relazione da cui abbiamo tratto spunto per questo breve commento.

Con la sentenza in esame, la Cassazione ha confermato che il lavoro svolto a tempo determinato deve essere parificato, in sede di ricostruzione di carriera, a quello a tempo indeterminato in quanto la disparità di trattamento, tra docenti ab origine a tempo indeterminato e docenti immessi in ruolo dopo un servizio di precariato non può essere giustificata dalla precedente natura non di ruolo del rapporto di impiego, dalla pretesa novità di ogni singolo contratto rispetto al precedente o dalle modalità di reclutamento del personale nel settore scolastico

La Cassazione ha risolto in senso positivo anche la questione riguardante le modalità di calcolo dell’anzianità e, in particolare, la possibilità di computare anche le supplenze brevi.

Sul punto la sentenza infatti precisa che il confronto deve essere effettuato considerando “l’anzianità effettiva di servizio, non quella virtuale D.Lgs. n. 297 del 1994, ex art. 489”, anche qualora maturata in un ruolo diverso, con conseguente implicita conferma dell’obbligo di considerare anche le supplenze di durata inferiore ai 180 giorni, alle quali devono essere inoltre aggiunti tutti i periodi di “assenza giustificata”.

La Cassazione precisa infatti che “nel calcolo dell’anzianità occorre, quindi, tener conto del solo servizio effettivo prestato, maggiorato, eventualmente, degli ulteriori periodi nei quali l’assenza è giustificata da una ragione che non comporta decurtazione di anzianità anche per l’assunto a tempo indeterminato (congedo ed aspettativa retribuiti, maternità e istituti assimilati)”.

La Cassazione ha preferito disapplicare anche l’art. 489 del d.l.vo n. 297/94, nella parte in cui non considera i soli servizi di durata inferiore ai 180 gg, utilizzando invece la fictio dell’equiparazione ad anno intero del servizio di durata superiore ai 180 gg. per compensare il computo parziale del servizio pre ruolo (sancito dall’art. 485 del d.lvo n. 297/94).

La Cassazione ha infatti innanzitutto stabilito il principio che per calcolare l’anzianità spettante ai docenti precari occorre tener conto del “servizio effettivo prestato”. Per evitare che l’eventuale cumulo del beneficio all’equiparazione ad anno pieno dei servizi di durata superiore ai 179 giorni (prevista dall’art. 489 del d.lvo n. 297/94), con il computo integrale del servizio pre ruolo (derivante invece dalla parziale disapplicazione degli artt. 485 e 489), determinasse una discriminazione alla rovescia ai danni dei docenti ab origine a tempo indeterminato.

In base alla sentenza in commento, i Giudici di merito devono pertanto verificare il rispetto della normativa europea caso per caso, comparando in concreto l’anzianità spettante con il computo integrale del servizio pre ruolo effettivamente prestato, ossia considerando tutto il servizio svolto con i contratti a tempo determinato, con quello riconosciuto dal MIUR con l’eventuale parificazione ad anno pieno dei servizi di durata superiore ai 179 giorni, procedendo quindi alla disapplicazione del criterio del computo parziale del servizio pre ruolo, solo nell’ipotesi in cui l’inquadramento risultante dall’equiparazione ad anno pieno di cui all’art. 489 sia in concreto inferiore a quello derivante dal computo di tutti giorni effettivamente lavorati.

Applicando questo meccanismo, la Cassazione fa saltare quindi il limite del computo massimo di 4 anni per intero di servizio pre ruolo, con il computo del servizio ulteriore nei limiti dei due terzi.

Tuttavia, la sentenza ritiene che si debbano decurtare dai giorni computabili in sede di ricostruzione della carriera, oltre agli intervalli non lavorati tra i vari contratti a tempo determinato, “i mesi estivi”, anche in caso di supplenze fino al termine delle attività didattiche.

La Cassazione precisa infatti che “non possono essere considerati né gli intervalli fra la cessazione di un incarico di supplenza ed il conferimento di quello successivo, né, per le supplenze diverse da quelle annuali, i mesi estivi”.

La decisione in commento riveste indubbiamente un particolare interesse, in quanto chiarisce definitivamente che la clausola 4 dell’Accordo quadro impone di riconoscere integralmente, anche in sede di ricostruzione della carriera, l’anzianità di servizio maturata al personale assunto con contratti a termine, in quanto la Corte di Giustizia UE, con la sentenza Motter, non ha certo inteso disconoscere in via assoluta il diritto al computo integrale del servizio pre ruolo in sede di ricostruzione della carriera, bensì unicamente escludere dal beneficio i docenti che in sede di immissione in ruolo abbiano già ricevuto ulteriori vantaggi nella ricostruzione di carriera, per effetto del riconoscimento di un numero di giorni superiori a quelli effettivamente prestati.

La sentenza in commento si segnala poi, anche laddove chiarisce che nel calcolo dei servizi si deve tener conto anche delle supplenze prestate in un ruolo diverso da quello rispetto al quale si domanda la ricostruzione della carriera, perché il medesimo beneficio è riconosciuto anche al docente a tempo indeterminato che transiti dall’uno all’altro ruolo, con la conseguenza che il meccanismo non determina alcuna discriminazione alla rovescia.

L’applicazione in termini pratici dei principi espressi dalla Cassazione, potrebbe portare alla revisione di migliaia di ricostruzioni di carriera, con il diritto del personale alle eventuali differenze retributive conseguenti ad una diversa collocazione nella fascia stipendiale.

Dino Caudullo

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