L’avvio del nuovo anno scolastico nel sud-est asiatico risulta oramai alle porte. Dopo la stagione monsonica, caratterizzata purtroppo da limitatissime precipitazioni e da carenze produttive, purtroppo la crisi alimentare infiamma già le tensioni etniche e religiose preesistenti tra le varie nazioni del paese. Tali tensioni, sfocianti in attentati e operazioni di rappresaglie e guerriglia, hanno portato al declino della sicurezza generale del paese, già aggravata dalla pesante eredità post-pandemica. Tali fattori, sicurezza e carenza dei generi di prima necessità, tensioni etno-religiose ed emergenza sanitaria non del tutto conclusasi di fatto preparano il terreno ad un anno scolastico differente e più duro per docenti, studenti e personale. I primi richiedono, attraverso battaglie sindacali represse barbaramente dalle istituzioni locali, maggiore sicurezza economica e finanziaria, salari maggiormente adeguati ed un minimo di welfare e contrattualistica di base non così obsoleta ed aggiornata ad un potere d’acquisto risalente a decenni fa. La situazione ora sembra più drammatica a seguito dell’incerta situazione sanitaria derivante da una campagna vaccinale mal organizzata ed insufficiente.
L’apprendimento in classe a tutti gli effetti ha inizio dopo due anni di sciagurata lotta al nemico invisibile, e le scuole sono felici di vedere gli studenti tornare in città dopo essere definitivamente partiti per le loro città natale dopo il blocco e le restrizioni di marzo 2020. In una direttiva dell’ultimo minuto, lo Stato ha chiesto solo al personale docente e di recarsi nelle scuole da oggi, lunedì 13 giugno. Un certo numero di scuole, tuttavia, ha deciso di attenersi al loro precedente piano di accogliere anche studenti da lunedì, invece di aspettare fino al 15 giugno. Per gli studenti, di età pari o superiore a 12 anni, rimane una priorità per le scuole, molte delle quali stanno organizzando campi medici per vaccinare studenti e personale. Alle scuole è stato detto di monitorare da vicino la salute degli studenti. Questi ultimi, trovati con sintomi riconducibili a COVID-19, dovranno sottoporsi ad un test antigenico. Se risultato positivo, coloro che sono entrati in contatto con loro dovranno sottoporsi al test per scongiurare una pericolosa catena di contagi.
L’India fece scalpore durante le fasi più critiche e difficilmente gestibili dell’emergenza sanitaria da COVID-19 a livello europeo, quando ha investito notevoli fondi sull’allestimento di cure, lo studio della relativa efficacia clinica e la distribuzione tra la popolazione di kit sanitari. Il tasso di vaccinati contro il Sars-CoV-2 è sempre rimasto medio: il 65 % della popolazione ha completato il ciclo delle somministrazioni, pari attualmente a sole due dosi senza richiamo o booster. Ieri sono stati registrati oltre 6.900 casi con 10 decessi, per un paese dalla popolazione superiore ad un miliardo e 400 milioni di individui. La letalità virale, come si evince da dati globali, resta limitata all’assetto endemico della sua circolazione, che ne aumenta la circolazione ma ne riduce la mortalità per il malcapitato che lo contrae. Presso le scuole indiane sono stati somministrati a campione test antigienici e mantenuto l’utilizzo di mascherina e distanziamento interpersonale con effettiva aerazione degli ambienti al chiuso.
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