Il distanziamento fisico tra alunni di almeno un metro è una delle tre condizioni essenziali per tornare a scuola in sicurezza a settembre ed evitare di esporre alunni e personale al contagio del Covid-19. Le altre due condizioni imprescindibili sono l’utilizzo delle mascherine e la riduzione del numero di alunni per classe. A sostenerlo è uno studio empirico, di comparazione internazionale, pubblicato sulla rivista ‘Science’.
Dallo studio, ripreso dal Corriere della Sera, risulta che per evitare brutte sorprese risulta fondamentale combinare «distanziamento, riduzione del numero di alunni, e mascherine».
Lo studio è interessante, perché si pone come strumento utile per capire che a settembre in Italia sarà bene tenere alta la guardia. Ad iniziare da quel Comitato Tecnico Scientifico che sembrerebbe avere allentato le misure di sicurezza scuola, facendo cadere il distanziamento fisico di un metro tra gli alunni che a settembre indosseranno la mascherina, seppure nelle ultime ore specificando che si tratterebbe di “situazioni temporanee in cui dovesse risultare impossibile garantire il distanziamento fisico”.
Science scrive che «la ricerca sul tema ha poche certezze», ma comparando alcuni Paesi sono emerse delle indicazioni davvero utili.
Ad iniziare dalla Svezia, dove “le scuole fino alle superiori sono rimaste aperte e l’obbligo scolastico — pena l’intervento dei servizi sociali — sempre in vigore”. Ora, se “non ci sono focolai scolastici registrati”, è anche vero che la cronaca riporta la morte in Svezia “di un professore e il contagio di 18 adulti in una scuola di Skellefteå; e in una di Uppsala, dove un preside non ha comunicato a nessuno che un professore era positivo, sono morti due dipendenti. Un sondaggio sierologico su 1.100 svedesi suggerisce che il 4,7% degli studenti si sia contagiato”.
La Danimarca, prima in Europa a riaprire le scuole il 15 aprile, ha visto calare i casi nazionali anche dopo.
La strategia: dividere le classi in gruppi e fare, dove possibile, lezione all’aperto. Paesi Bassi: scuole riaperte dall’11 maggio, classi dimezzate per distanziare gli alunni, contagi generali rimasti stabili e poi calati.
In Israele, continua il Corriere della Sera,le scuole sono riaperte dai primi di maggio: classi da 30-40 studenti. A differenza di altri Paesi, non si è riusciti a dividerli né a distanziarli. «Abbiamo puntato sulle mascherine, obbligatorie dai 7 anni in su», racconta a Science Efrat Aflalo, una portavoce del ministero della Salute.
Sembrava funzionare. Poi, a fine maggio, un’ondata di caldo: medie di 40°. Le autorità sollevano i ragazzi dall’obbligo. Due settimane dopo — proprio il tempo di incubazione del virus — i primi focolai nelle scuole. Il più famoso al ginnasio Rehavia di Gerusalemme: 130 contagi. A metà giugno 355 scuole avevano richiuso.
Poi, c’è il caso della Germania, dove l’anno scolastico è ripreso lunedì 10 agosto, ma la scelta di non imporre la distanza minima in classe e di tornare tempo pieno ha prodotto in pochi giorni diversi casi di contagio.
Nel Nordreno-Vestfalia, in meno di una settimana, ben 12 istituti scolastici sono risultati colpiti dall’epidemia: due hanno già dovuto richiudere i battenti, mentre nelle altre dieci scuole sono state previste chiusure parziali, con gruppi e classi in quarantena.
Anche a Berlino, dove il Senato locale ha imposto l’obbligo di portare la mascherina solo fuori dalle aule, si sono registrati casi di contagi a scuola: l’istituto Berliner Zeitung, uno dei tabloid della capitale, è stato addirittura chiuso in tempo record.
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