Attualità

Rientro a scuola, ormai siamo al “fai da te”: la preoccupazione è palpabile, sempre più diffusa

A tre settimane dall’inizio della scuola, le incertezze, le oscillazioni, il timore di un nuovo Lockdown, il contagio sempre più giovane: tutto sembra remare contro la ripartenza. La stampa, per queste ragioni, non si trattiene più. Tanto da parlare di possibile “disfatta per lo Stato”, come fa oggi nell’inserto veneto del Corriere, Stefano Allievi, noto sociologo, nonostante le rassicurazioni della Azzolina e le circolari quasi autocelebrative del direttore generale Bruschi e le certezze del commissario Arcuri.

Perché nelle scuole sta prevalendo il “fai da te”, cioè l’arte di arrangiarsi, tra banchi e sedie che ci sono e non ci sono, classi più o meno divise, didattica più o meno a distanza alle superiori.

Tanti documenti, dichiarazioni, verbali, linee guida, opinioni che si accavallano, ma pochi punti fermi. Senza dimenticare il tema dei trasporti, liquidato troppo velocemente. Immagino già la reazione nel caso di un blocco della riapertura delle scuole. La possiamo già intravvedere nei tanti interventi, dicevo, dei giornali e dei tg. Questo per le inevitabili ricadute anzitutto nelle famiglie.

Mentre cioè stanno riaprendo le scuole del nord Europa, ed in Francia sono bastate sette paginette per disciplinare la ripartenza, da noi si naviga un po’ a vista, tra promesse e smentite. Che sia, come si esprime Chiara Saraceno, nota sociologa, il segno evidente della crisi della gestione centralista dello Stato del mondo della scuola?

Perché lo Stato dovrebbe, attraverso l’indicazione e soprattutto la verifica, stabilire standard condivisi, ma lasciando alle scuole autonome, di concerto con gli enti locali, come in altri Paesi, la diretta gestione del servizio pubblico scolastico. In poche parole, responsabilizzare, potenziando decisamente la parte ispettiva, ogni settore, ogni livello, ogni funzione. Perché non si possono impegnare le risorse solo attraverso la logica dei bonus e del sostegno assistenziale e paternalistico.

Come diceva ieri Mario Draghi, qualificando invece la spesa, gli investimenti, secondo priorità che parlino al futuro, e non solo al presente.

Gianni Zen

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