Se ne sono sentite di tutti i colori in queste settimane sul rientro scuola a settembre, dopo l’exploit dell’esame in presenza ostinatamente voluto dalla ministra Azzolina e dalla viceministra Ascani, che hanno comunque risentito anche di pressioni esterne. Facciamo il punto nel giorno dello sciopero dei sindacati.
Rientro in presenza alle scuole primarie (anzi alle elementari, come le definisce ancora la viceministra dell’Istruzione nonostante ormai da anni si chiama scuola primaria) e alle secondarie di I grado, con didattica “mista” alla secondaria di II grado (in presenza e a distanza, metà in classe e metà a casa, a guardare almeno per la prima e l’ultima ora i propri compagni entrare e uscire dall’aula visti gli ingressi scaglionati, con l’insegnante che passa l’ora, pardon i 40 minuti probabilmente, a segnare sul registro elettronico le entrate a “singhiozzo” della prima ora e ad aggiornare le uscite che man mano avvengono durante l’ultima ora: un capolavoro!).
Però sono intervenuti con determinazione i comitati dei genitori che vogliono una didattica in presenza per tutti (e quelli è più difficile ignorarli come gli insegnanti a cui per la ministra deve forse sembrare più che sufficiente offrire la gratificazione di un ringraziamento e di uno “zuccherino” come bravi animali da circo ammaestrati, del cui parere non importa proprio nulla).
E allora è intervenuto direttamente il premier Conte, perché la situazione si è fatta un po’ delicata, per usare un eufemismo: ma le parole di Conte e Azzolina non hanno convinto diverse componenti fra quelle invitate all’incontro del 4 giugno. Infatti i sindacati rappresentativi al tavolo delle trattative hanno confermato lo sciopero di oggi (8 giugno: certo con le scuole di alcune regioni in cui l’anno scolastico è già finito, e con una giornata di scrutini già programmati, non mi sembra che la data scelta sia stata per così dire azzeccata, e se risultasse uno sciopero a partecipazione molto ridotta rischia di essere un “boomerang”). E anche i forum nazionali delle associazioni studentesche e quello dei genitori non hanno ricevuto le concrete assicurazioni richieste.
Eppure anche prima dell’incontro il premier Giuseppe Conte aveva affermato: “nel Decreto Scuola è stato introdotto un emendamento che noi abbiamo subito approvato che consente a tutti i sindaci di poter diventare commissari straordinari per realizzare opere in tutta urgenza di edilizia scolastica. Quindi potranno partire subito”.
Ed è quello che auspicavamo da tempo e che possibilmente andava già avviato mesi fa. Comunque, se davvero compiuto sarebbe un bel passo avanti rispetto a quanto espresso da esponenti del M5S e dal viceministro Anna Ascani del Pd (ex renziana) che hanno suggerito di fare scuola nei musei, nelle biblioteche e nei teatri (magari nei grandi centri ce ne saranno di capienti però non sono certamente illimitati, ma hanno una vaga idea di quanti teatri e musei ci siano in centri periferici e quanto siano grandi le biblioteche di paese, ammesso che siano presenti?).
“Ci attendiamo – ha aggiunto il presidente del Consiglio – aule più conformi alle prescrizioni di sicurezza sanitaria, ci aspettiamo aule rinnovate a settembre. Ci sono le risorse finanziarie, abbiamo introdotto lo strumento normativo (…) per perseguire questo risultato, a beneficio dei nostri piccoli e dei nostri grandi”.
Piccoli e grandi: quindi da queste parole sembrava che anche gli studenti delle scuole di istruzione secondaria di II grado potessero riprendere in presenza (come richiede, tra gli altri, anche il Comitato “Priorità alla scuola”, che nelle scorse settimane ha organizzato manifestazioni che hanno mobilitato nelle città italiane migliaia di genitori, insegnanti e studenti, nonostante il periodo certamente non favorevole alle manifestazioni in presenza), ma da più parti si ribadisce invece che sarà adottata comunque una didattica “mista” (insomma, un po’ il solito “gioco delle tre carte”?).
E i sindacati su questo aspetto hanno assunto una posizione lineare e chiara: “Basta con la didattica a distanza, riaprire davvero le scuole”, ha detto il segretario della Uil Scuola Pino Turi; peraltro anche gli altri sindacati oggi in sciopero condividono che la Dad è “una procedura di emergenza che va fermata” e per far ripartire la scuola in presenza richiedono maggiori stanziamenti ed assunzioni, rivedendo nel contempo, almeno nella presente emergenza, i parametri per il dimensionamento delle istituzioni scolastiche.
E in effetti il premier Conte aveva ribadito: “sicuramente a settembre si riaprirà, si tornerà alla didattica in presenza, dobbiamo fare di tutto per assicurare, dopo questo periodo particolare che hanno vissuto i nostri studenti, il ripristino di una fase di normalità”. Quindi non ci dovrebbero essere dubbi: didattica in presenza per tutti (se la situazione sanitaria lo permette, e se non lo permettesse ciò varrebbe per tutti i segmenti scolastici: dalla scuola dell’infanzia alle scuole superiori, non è che alle scuole dove per qualcuno serve “parcheggiare” i bambini la sicurezza c’è e invece non c’è nelle scuole frequentate dai ragazzi più adulti, magari in numero inferiore ad una scuola primaria o a una scuola media).
Altrimenti dovremmo pensare che il problema non sia la sicurezza ma il volere imporre la didattica a distanza come nuova metodologia di insegnamento nelle scuole superiori (laddove invece deve restare una necessità emergenziale, che peraltro ha funzionato complessivamente male e ha lasciato “indietro” tanti studenti).
E certe sortite anche recenti di Lucia Azzolina possono far pensare che ci sia invece una idea ben precisa nell’area ministeriale, visto che parlando della “task force di esperti” (un solo docente scolastico, ma in compenso anche qualche amministratore delegato di aziende) da lei voluta al M.I. ha recentemente detto “che offrirà spunti che guardano alla ripresa di settembre, ma anche oltre: l’uscita da questa emergenza, come abbiamo sempre detto, deve diventare una straordinaria spinta per migliorare il sistema di Istruzione e per promuovere l’innovazione didattica”.
A parte che, come abbiamo scritto più volte, parlare di “opportunità” o di “straordinaria spinta” riferendosi ad una tragica emergenza sanitaria, che è stata drammatica e che ancora non è neppure terminata, lascia perplessi e anche un po’ infastiditi, giusto per usare un eufemismo, sul tema dell’innovazione digitale attraverso lo strumento della Dad riportiamo quanto scritto qualche tempo fa dal giornale on line Contropiano: “si deve fare molta attenzione anche alle parole della ministra Azzolina, che ha auspicato che ‘l’emergenza possa dare la spinta per l’innovazione’. C’è da temere che essa venga usata per una nuova svolta aziendalista e trasmissiva dell’insegnamento”.
Introdurre in modo sistematico la didattica a distanza, insomma, per rendere il docente solo un “facilitatore”? E c’è chi teme che in certi ambienti si possa fare pressione, anche nei riguardi delle scelte politiche, per “istituzionalizzare” la didattica a distanza, e non utilizzarla invece solo come strumento emergenziale, per farne, finita l’emergenza, un ennesimo business.
Come rivendicato anche dai sindacati, occorre invece fare un numero di assunzioni adeguato alle necessità (ben oltre il mantenimento degli organici di cui si fa vanto il Ministero) e formare classi numericamente ridotte, così da garantire il distanziamento.
Invece ci sono Ust che nella formazione delle classi, come rilevato in un articolo pubblicato su questa testata, “si stanno addirittura mostrando più rigidi che in passato, non considerando minimamente l’emergenza”.
E su questo argomento, sempre sulla “Tecnica della Scuola” abbiamo appreso della richiesta di Alessia Morani, sottosegretaria al Ministero dello sviluppo economico, che riferendosi in particolare alla regione Marche si è rivolta direttamente alla collega di governo Anna Ascani, vice-ministra all’Istruzione, appellandosi alla “sua sensibilità nei confronti dei nostri territori”. E’ bene però ricordare che ci sono altre realtà territoriali che presentano analoghi problemi riguardo alla formazione di classi con numero alto di alunni, so di situazioni pesanti in Sicilia, ma ritengo che il problema sia esteso praticamente alla maggior parte delle regioni. Intervenga il Ministero, vista l’eccezionalità della situazione, almeno per questo anno, e dia direttive precise in tal senso agli Uffici scolastici territoriali.
A fronte di queste problematiche, l’idea di qualcuno è che intanto si parte, se poi si capisce che l’orario curricolare dei docenti sarà diventato di 24 o 30 ore settimanali, o magari ancora di più (tra “presenza” ed eventuale “distanza” e mettendoci pure i messaggi sulle chat, le mail dei ragazzi a cui rispondere, ecc.), che importa? Gli insegnanti sono anche “missionari” e casomai si citerà a sproposito l’imperativo kantiano e l’etica!
E molti docenti vivono la “sindrome di Stoccolma” e sono grati che già non li chiamano più “fannulloni” (come ingiustamente in passato fu “suggerito” all’opinione pubblica per giustificare i tagli agli organici e ai finanziamenti alle scuole, oltre che agli orari soprattutto di istituti professionali e tecnici, tagli del governo di cui facevano parte Brunetta, Sacconi, Gelmini, ecc.).
In realtà i docenti in questi mesi di Dad hanno già dato come disponibilità e dedizione senza guardare agli orari (in certi casi davvero “massacranti” tra videolezioni, chat di gruppi classe, interazione a tutte le ore con gli alunni anche su whatsapp personali, scambio di materiale e di compiti da correggere tramite mail e/o registro elettronico) e senza guardare, per loro scelta, al contratto, che però da settembre andrà nuovamente rispettato in modo puntuale e preciso!
E su questi aspetti devono vigilare senza esitazioni i sindacati, perché, quando saranno chiamati a sottoscrivere un nuovo contratto, un eventuale rinnovo in senso regressivo dei diritti dei lavoratori (in questo caso dei lavoratori della scuola) sarebbe la classica goccia che fa traboccare il vaso e le organizzazioni sindacali pagherebbero un prezzo molto alto sul piano della credibilità (a maggior ragione da parte di chi a quei sindacati è iscritto!) e ciò rappresenterebbe un grave rischio anche per la tenuta democratica del Paese, perché le forze sociali (e quindi in modo determinante i sindacati) ne sono una componente essenziale e una loro “delegittimazione” sarebbe pericolosissima.
Sarebbe il colmo che si approfittasse di una tragedia per far passare quell’aumento di orario di servizio (e come ben si sa le ore di lavoro degli insegnanti non sono limitate solo a quello!) che l’ex ministro Profumo (proposta di portare a 24 ore di cattedra l’orario nelle secondarie) o un paio di anni dopo Roberto Reggi, sottosegretario all’Istruzione (con la Giannini ministra) nel governo Renzi, tentarono senza successo.
Perché l’idea “circola”: riporto quanto scritto recentemente da Lucio Ficara: “Tra le tante proposte che vengono inviate al Ministero dell’Istruzione per garantire la ripresa della scuola in presenza a partire dal 1° settembre 2020, c’è anche quella inviata da un gruppo di dirigenti scolastici, che andrebbe a prevedere una maggiore flessibilità oraria degli impegni dei docenti nell’espletamento del loro servizio. Tale flessibilità aumenterebbe sostanzialmente l’orario settimanale di insegnamento. A prescindere dall’autonomia scolastica e dalla possibilità dei collegi docenti di intervenire sull’unità oraria o la flessibilità dell’orario scolastico, l’orario di servizio dei docenti e del personale Ata è materia di contrattazione collettiva nazionale. L’autonomia scolastica non consente, come avrebbero proposto alcuni dirigenti scolastici avanguardisti, il travaso ore di servizio della collegialità o di ore di servizio degli adempimenti individuali in ore di insegnamento in classe. In buona sostanza non si può aumentare o variare l’orario di servizio dei docenti e del personale Ata senza che questo passi dal vaglio contrattuale e dal rinnovo del contratto 2019-2021”.
Ma mi è toccato anche di leggere proposte che potremmo definire di “superavanguardisti” (rispetto a quei Ds definiti da Ficara “avanguardisti”) che propugnavano la necessità di “ripensare poi a tutto ciò che serve per rimettere ordine, per ricreare le condizioni di un ‘quadro democratico maturo’ anche nel mondo della scuola, con rifacimento e ripensamento anche degli attuali contratti di lavoro, ancorati a vecchie logiche garantiste”. E la prima considerazione che mi sorge spontanea è domandare a chi “vuole rimettere ordine” (?) di dire qual è la sua visione delle “condizioni del quadro democratico maturo”. Che ci illumini, sia per quanto riguarda la scuola e magari anche l’intera Nazione.
I contratti andrebbero rivisti sì, ma nella parte economica, per allineare gli stipendi dei docenti italiani alla media di quelli percepiti dai colleghi dei Paesi Ue (e sfatiamo il falso mito che da altre parti in Europa fanno mediamente più ore di lavoro, perché le statistiche in tal senso lo negano).
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