Questi tempi di pandemia universale hanno regalato alla scuola momenti drammatici ma anche gratificanti.
Per mesi essa ha ispirato persino un dibattito politico, dopo un tempo amaro in cui sembrava caduta nell’oblio.
Quando l’inizio del nuovo anno si è fatto concreto, non solo i media ma anche la società stessa sembravano accompagnare l’evento con riflessioni riconducibili alla necessità di una ripresa in presenza, alla gratitudine nei confronti dei docenti che vedevano raddoppiato il rischio biologico, al ruolo insostituibile della scuola all’interno della società.
Il 14 settembre è arrivato, per quanto mi riguarda, dopo una notte insonne, densa di angoscia ma anche di commozione.
Ho pensato che finalmente era stato restituito all’istituzione quel posto di rilievo che aveva perduto. Questo convincimento spazzava via ogni preoccupazione per i rischi che inevitabilmente avrei corso, compensati dal riconoscimento del mio ruolo e di quello di migliaia di colleghi: il senso di svolgere un lavoro determinante per il futuro dei giovani e del Paese, la fede in un percorso formativo (e non di mero intrattenimento) imprescindibile per la realizzazione personale degli studenti.
Ma mi sbagliavo di grosso.
È l’inizio di ottobre. La scuola è ricominciata in mezzo ai problemi di sempre, aumentati esponenzialmente dalla pandemia.
Le voci confortanti si sono spente, e quelli che sembravano slogan incoraggianti, come la convinzione che il Paese sarebbe ripartito se fosse ripartita la scuola, sono rimasti tali.
I docenti sono tornati a essere relegati a un ruolo marginale, senza alcun rispetto per un lavoro che, a volte, acquista contorni drammatici.
Quanta nostalgia di un tempo lontano in cui un intellettuale come Dante Alighieri, incontrando il suo maestro all’Inferno, non solo non riusciva a nascondere l’ammirazione che provava ma anche ne riconosceva la grandezza, al punto da non ritenersi degno di camminargli più avanti né in luogo leggermente sopraelevato, senza abbassare la testa.
Dante sapeva quello che nessun ministro ha imparato mai: il maestro (nell’accezione di magister) resta un maestro per sempre, riveste un significato fondamentale per la vita dell’alunno.
Questa è l’unica consolazione che resta ai docenti, il punto fermo, nel caos improvvido del tempo triste che viviamo.
Tuttavia è arrivato il tempo di agire concretamente, una volta per tutte, mettendo la scuola e i suoi protagonisti al centro della vita di ogni giorno, altrimenti il sistema imploderà, accelerato nella sua fine dall’emergenza coronavirus. Allora non ci saranno più slogan ma nemmeno una scuola degna di questo nome e dei nostri ricordi.