Ci siamo quasi: tra qualche settimana studenti e docenti si ritroveranno nelle aule delle scuole per riprendere, si fa per dire, la normale didattica, interrotta a causa del Covid e sostituita da quella a distanza. Il rituale del primo giorno di scuola, riservato all’accoglienza, non potrà rimarcare le emozioni positive degli anni precedenti: gli abbracci saranno inibiti, le emozioni trasmesse con la mimica facciale verranno nascoste dalla mascherina e da altri dispositivi, la spontaneità dei gesti sarà repressa, gli interrogativi che porranno genitori, docenti e studenti sul prosieguo delle attività saranno molti e complessi.
Il primo giorno di scuola, insomma, sarà una prova d’esame per tutti, compresi i docenti che dovranno affrontare dinamiche nuove, mettendo in campo diverse strategie relazionali che si riverseranno sui processi di apprendimento e sulla socializzazione del gruppo classe.
I banchi monoposto, il distanziamento fisico, allontaneranno gli alunni anche a livello sociale, togliendo ossigeno ai percorsi di integrazione che includono rapporti ravvicinati e sentiti.
La nuova “filosofia” dello stare insieme, del fare scuola, dello stare e vivere in classe, che si andrà a diffondere nel mondo della scuola avrà conseguenze sul modo di vivere l’esterno, di vivere in comunità: un nuovo stile di vita si farà strada tra queste nuove generazioni che si differenzieranno dalle altre ad esse collegate a seguito di esperienze che hanno inciso e incideranno nel modo di vivere insieme all’interno dell’agenzia di socializzazione secondaria e nella stessa comunità.
La scuola dovrà aprire i suoi cancelli, può dilazionare di qualche mese l’avvio delle sue prerogative istituzionali, legate al quadro epidemiologico, ma non potrà, evitare di mantenere muta la sua campanella. Dovrà sottoporsi, purtroppo, ai rischi cui va incontro l’intera comunità in attesa che si diffonda il vaccino. L’inizio della scuola dovrà avvenire in sicurezza o quantomeno si dovrà limitare il rischio di nuovi contagi. Mai come in questo momento è richiesta prudenza. Non bisogna aver fretta. Il tempo è necessario per poter conciliare due esigenze finora non contrapposte: diritto all’istruzione e diritto alla salute.
Attenzione a non cedere alle pressioni incalzanti di quelle famiglie che vogliono a tutti i costi che la scuola apra subito altrimenti non saprebbero dove lasciare i propri figli quando sono al lavoro. La scuola non deve aprire per rispondere a queste, se pur comprensibili, esigenze familiari. Deve avviare il suo servizio, invece, per altri nobili motivi, sanciti dalla Carta costituzionale, dal diritto allo studio, e non per assolvere al ruolo di “badante” statale. La scuola merita rispetto per il ruolo che è chiamata a svolgere nei processi socializzanti, di integrazione, di sperimentazione, di formazione e educazione. La scuola riaprirà e la classe docente , con tutti i suoi acciacchi storici, dimostrerà ancora una volta di essere all’altezza dell’arduo compito.
La scuola come la sanità deve assumere una priorità culturale all’interno delle politiche di sviluppo del sistema PAESE.
A differenza di tanti altri comparti, la scuola necessita di agire su spazi reali e non solo virtuali, in quanto essa non fornisce un prodotto che puó essere affidato alla mera e fredda cura di una macchina, ma necessita di vicinanza umana, di interazioni, di vita di gruppo reale entro cui si forma e si manifesta l’identità del soggetto alunno.
Il telelavoro, il lavoro remoto, puó essere valido ed efficace per molti settori produttivi, ma per la scuola tali metodi devono essere ritenuti eccezionali o da utilizzare per incrementare i processi di apprendimento sia all’interno della classe che all’esterno di essa come insegna la tecnologia al servizio dell’uomo.
Francesco Garofalo
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