Arrivano, con la prima tornata di trasferimenti relativi alla scuola primaria, le proteste dei docenti che non sono riuscit ad ottenere il rientro nel città o almeno nella provincia di residenza.
Il problema riguarda quasi esclusivamente i docenti che hanno chiesto di essere trasferiti nelle regioni del sud, visto e considerato che al nord sono rimaste libere centinaia, anzi miglia di cattedre.
Il fatto è che – purtroppo – la soluzione non è semplicissima da trovare e quasi certamente non sarà con le assegnazioni provvisorie che si riuscirà a soddisfare le richieste dei migliaia di insegnanti che – a seguito del piano straordinario di assunzioni previsto dalla legge 107 – sono ancora “bloccati” (e non si sa per quanto tempo ancora lo resteranno) nelle regioni del nord.
Basta dare uno sguardo ai numeri degli organici e delle sedi rimaste vacanti dopo questa fase della mobilità per capire che la situazione, per dirla con un celebre aforisma di Ennio Flaiano, “è grave ma non è seria”.
Ci sono province importanti del sud che sono a posti 0 o poco più (Catania, provincia con 1.100.000 ha 70 posti liberi; Bari, quasi 1.300.000 abitanti ne offre un’ottantina), al nord province assai più piccole hanno una disponibilità uguale o maggiore (Cuneo, 600mila abitanti, 100 posti; Lecco, 300mila abitanti, 150 posti; Pavia 540mila abitanti 200 posti).
Se poi si parla delle grandi province del nord non ci sono più paragoni (Torino 720 posti, Milano più 1500 e Brescia 300).
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E’ del tutto evidente che, con questi numeri, le migliaia di docenti originari del sud non avranno molte possibilità di rientrare nella propria regione in tempi brevi, a meno che…
A meno che, a partire dall’anno prossimo non si incominci ad assegnare gli organici tenendo conto non del numero degli studenti ma considerando anche altri parametri.
Operazione ovviamente difficile, anzi difficilissima anche perchè bisogna considerare che il calo demografico incomincia a far sentire i propri effetti: nella primaria, per esempio, un eventuale aumento di organico al sud per favorire la diffusione del tempo pieno (sempre che gli locali siano in grado di garantire i servizi necessari per la mensa e per il trasporto) potrebbe essere assorbito dalle riduzioni causate dal decremento demografico.
Senza considerare un ulteriore problema: il rientro nelle regioni del sud di migliaia di docenti che ora lavorano al nord rischierebbe di mettere in ginocchio il sistema scolastico di diverse regioni come Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna dove, storicamente, le graduatorie dalle quali si attinge per le supplenze annuali sono ampiamente insufficienti per garantire la copertura del posti disponibili.
Insomma, il problema dei docenti che legittimamente aspirano a rientrare nella propria regione esiste ed è anche molto serio, ma – a tutt’oggi – non pare esserci una soluzione che possa risolverlo rapidamente.
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