Sul rientro in classe dei docenti non vaccinati dallo scorso 1° aprile non si spengono le polemiche e, a quanto pare, non ci si fermerà a quelle. Molti insegnanti infatti non sembrano disposti ad accettare l’aumento delle proprie ore (a 36) per poter rientrare a scuola. Un ritorno che però non coincide al reintegro alle proprie mansioni, ma a tutte quelle attività come ricerca, laboratori, biblioteca ma anche compiti di segreteria. Tutte mansioni che escludono il professore dalla cattedra e dal contatto con gli alunni. Condizioni accettate da qualcuno, non da altri che decidono di non firmare, di mettersi in aspettativa o di preparare la diffida con sindacati e a avvocati che tornano ad essere coinvolti nella questione.
Come sottolineano le testimonianze rilasciate alla sezione Veneto del ‘Corriere della Sera’ tutto ruota attorno ai contratti di natura diversa a cui sono costretti i docenti, dalle 18 ore della scuola secondaria alle 25 dell’infanzia (ma le 36 non sono previste). Da qui si prevedono una pioggia di diffide e ricorsi. Secondo i docenti si tratta di demansionamento, e la legge, non essendo chiara, lascia ampia discrezionalità ai dirigenti che utilizzano i docenti come meglio credono (alcuni in modo non appropriato). Anche dai sindacati arrivano posizioni che lasciano la porta aperta ad azioni legali.
In Veneto la situazione è al momento gestibile, si tratta di 200-300 casi su circa 70mila dipendenti. Per chi invece non intende esibire il green pass base, la norma specifica che il dipendente è considerato assente ingiustificato ma senza conseguenze disciplinari, facendo rientrare il prof a casa. E sulle 36 ore anche i presidi temono che sarà un elemento di forte malcontento per i docenti.
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