Caro futuro ministro della pubblica istruzione, sono un umile docente di un’umile scuola, di un’umile terra martoriata e offesa che porta il nome di Calabria entroterra Serre vibonesi.
Interpreto il lavoro di insegnante come una vera missione di vita, fatta di soddisfazioni e gioie con allievi-ragazzi che ogni giorno ti danno il loro affetto, i loro dubbi, le loro fragilità.
L’insegnamento è da considerarsi veramente uno dei lavori più belli del mondo. Ma, nell’arco di pochissimi anni, questa missione, si sta trasformando in un vero e proprio calvario giornaliero. Non sto qui ad elencare i casi di violenza nei confronti dei docenti nell’ultimo periodo, ma occorre ricordare il caso della professoressa di Caserta accoltellata al viso qualche giorno fa. L’atteggiamento di buonismo-pietismo della collega accoltellata mi lascia abbastanza perplesso.
Fino ad oggi mi sono posto il problema del perchè un ragazzo possa arrivare a questo gesto estremo, e quali strategie adottare per un suo serio cambiamento. Ma, alla luce, della mia decennale esperienza, chiedo che si faccia una seria riflessione sulla tutela degli insegnanti e del loro lavoro in classe. La cronaca ci racconta solo gli episodi più eclatanti, ma tutti, in tutti gli Istituti d’Italia, ogni giorno ci giriamo dall’altra parte facendo finta di non sentire le parolacce, le bestemmie, le offese che accompagnano il nostro lavoro. Tutti sappiamo che insegnanti un pochino più deboli, sono costretti ogni ora del loro lavoro a subire ricatti, umiliazioni, offese da parte degli alunni.
Ma poco serve la denuncia ai D.S., poco serve il ricorso al collega più severo, poco serve la nota, il richiamo alla famiglia, la sospensione o il basso voto di condotta. In questo panorama stiamo perdendo il nostro rapporto con la didattica, con quello che una volta veniva definito “il programma da svolgere”. Con la riforma Gelmini siamo passati dai contenuti allo sviluppo delle competenze. Io sfido qualsiasi collega a spiegarmi periodicamente quali competenze ha sviluppato e quali ancora deve sviluppare. Siamo frastornati dagli adempimenti legati alla sorveglianza della classe, all’esigenza che nessuno in classe si faccia male, alle norme che legano il nostro lavoro al controllo degli alunni. Siamo frastornati dal dover mantenere l’ordine pubblico in classe dimenticando che il nostro ruolo è quello di insegnare.
E allora, caro futuro Ministro della Pubblica Istruzione, apra un dibattito serio sulla figura del docente nella società, proponga qualcosa che valorizzi la potestà genitoriale e, chiami in causa i genitori per atti e fatti causati dal proprio figlio a scuola. Fin quando faremo ordine pubblico non faremo scuola.
Stiamo coltivando la generazione più ignorante dall’unità d’Italia ad oggi. I frutti sono già evidenti nel panorama pubblico. Come mai i vari Di Maio e & company non sanno coniugare i verbi e possiedono una dialettica scialba ed essenziale. Ma la cosa più grave, è che stiamo facendo della mancanza di competenze la bandiera della nostra società. Felici di avere un sistema scolastico schifoso e orgogliosi di non capire niente.
Gli incompetenti hanno già preso il sopravvento e stanno occupando posti di responsabilità. Caro Ministro, la scuola deve risorgere; gli insegnanti devono poter lavorare . E’ evidente che le problematiche analizzate non siano affatto semplici; un maleducato in classe è maleducato sempre, un violento in classe è violento sempre, un disinteressato in classe è disinteressato sempre. Ci credevo, fino a a qualche tempo fa, alla necessità ad attuare strategie didattiche per interessare i ragazzi, per tirare fuori quel 5% di buono che sta in ognuno di noi.
Ma, alla luce di tutti i fatti di cronaca, credo che i docenti stiano soccombendo sotto la spinta di un terremoto sociale che non riusciamo più a controllare. E allora, se siamo ancora uno Stato di Diritto, bisogna porre rimedio alle storture evidenti di un sistema che non funziona. Alla politica il compito di dare risposte. le aspettiamo.
Massimo Marzano
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