Sto seguendo in questi tempi più che mai le informazioni che ci state trasmettendo molto opportunamente, viste le incertezze nella quali viviamo.
Tra i commenti letti oggi, in particolare due hanno colpito la mia attenzione.
C’è chi mette le mani avanti per chiarire che la didattica a distanza non deve “diventare un’abitudine”. Sono totalmente d’accordo, sia perchè un tale strumento può essere effettivamente valido a livello universitario (esperienza già in vigore e collaudata da molti anni e da innumerevoli università), sia perchè, a livello di scuola dell’obbligo, ma anche fino alla scuola secondaria di secondo grado, il rapporto interpersonale tra studenti ed alunni e tra gli studenti stessi è fondamentale per un’autentica formazione della persona e del cittadino. Certo il rischio che diventi una “moda” sicuramente sta dietro la porta, ma io credo anche nella responsabilità e nella professionalità degli insegnanti che sono ben consapevoli dell’importanza del proprio lavoro. Dall’altra parte, tuttavia, questa esperienza “necessaria” non possiamo, una volta passata l’emergenza, metterla da parte, come fosse una parentesi che si chiude, e “adesso finalmente riprendiamo a lavorare” (espressione che ho già sentito, quando ancora siamo nel bel mezzo del problema). Credo, invece, sia una grande opportunità di “imparare ad imparare” con modalità e con strumenti che forse per noi “anziani” sono nuovi, ma che per la maggior parte dei nostri studenti fanno parte della vita quotidiana fin dall’infanzia. Quello che è necessario credo sia il giusto equilibrio, che da una parte non faccia rimpiangere il passato “tradizionale”, ma allo stesso tempo neppure ci porti a vedere il nuovo come sinonimo di valido ed efficace. Certo sarà necessario fare molta strada per trovare questo equilibrio, e probabilmente saranno anche utili gli inevitabili errori. Ma forse anche questo ci aiuterà a costruire una scuola in cui non sono soltanto gli studenti che raccolgono il nostro insegnamento, ma anche noi possiamo raccogliere il “loro” insegnamento. La chiave è sempre la stessa: impariamo ad imparare.
Interessante mi sembra la proposta della senatrice Draghi: una piattaforma unica per le scuole italiane. Oggi, ed era inevitabile, siamo stati costretti, almeno in gran parte delle scuole, ad “arrangiarci”, cercando di trovare una piattaforma che ci consentisse comunque di continuare la nostra attività, ed è stato giusto così: non c’era il tempo per “metterci d’accordo”. Ma, guardando al futuro, credo sia giusto che si cerchi di riunificare alcune tecnologie che evitino il rischio di disperderci tra le tante proposte, con possibilità diverse, che, seppur valide, potrebbero offrire possibilità differenti a seconda della scuola che i nostri figli frequentano. Penso che spetti ad un comitato del Ministero studiare le diverse possibilità e indicare una scelta che realmente e concretamente garantisca a tutti un identico ed autentico diritto allo studio; e questo comitato non dovrebbe essere formato solo di esperti tecnici informatici, ma anche “insegnanti” sul campo, che conoscono le diverse realtà e che quindi sappiano capire le reali necessità di ogni scuola. Dopo anni in cui abbiamo lavorato per definire le “8 competenze” (tra cui anche la digitale) sarebbe realmente un grande passo indietro se poi ci accorgessimo che alcune scuole hanno maggiori possibilità di raggiungerle perchè hanno strumenti più efficienti e più efficaci (e più costosi). E oltre questo, temo che nasca (già è iniziata in realtà) la corsa delle ditte produttrici di tecnologie alla conquista dei clienti. Ma, e concludo, per favore, voi responsabili al Ministero, ricordatevi che può essere utile anche un parere di chi ogni giorno lavora sul campo, con studenti veri non ideali, nella scuola o da casa; di chi conosce i bisogni, i desideri e le difficoltà dei propri insegnanti, che conosce uno per uno, così come conosce i bisogni, i desideri e le difficoltà dei propri studenti.
Rino Papotti
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