Riflessioni sulle riforme del settore scolastico

La questione scolastica va intesa come rapporto tra la necessità di innovazione, l’urgenza di risorse sempre minori, la assoluta priorità di rendere efficiente la spesa per l’istruzione, l’aspetto occupazionale e di precariato, la formazione e le modalità di conseguimento di titoli per l’insegnamento, la promozione della cultura della valutazione. La valutazione in particolare deve essere inerente il gradimento da parte dell’utenza oltre che riferito alle competenze formali o titoli posseduti o incarichi ricoperti.

Il primo aspetto importante è quello della formazione dei docenti. E’ necessario assumere un metodo di reclutamento condiviso che abbia un orizzonte temporale ampio perché la prima cosa da evitare, ma già accaduta, è che si cambino in continuazione le regole generando una giungla di norme ed eccezioni quasi sempre ingiuste.

La precarietà è l’aspetto direttamente connesso alla questione della formazione. La formazione, affidata agli atenei, risulta estremamente onerosa, prevede trattamenti denigratori da parte dei docenti incaricati dei corsi, non considera correttamente la valutazione di titoli di cui i frequentanti siano già in possesso, si svolge con modalità assolutamente diverse da un capo all’altro del Paese.

SISS, TFA, PAS, sono solo alcune sigle che rappresentano la stessa cosa: percorsi faticosi, parzialmente interessanti e/o attinenti, estremamente onerosi.

La formazione va unificata sul territorio e gli atenei possono fungere solo da contenitori ospitanti i corsi, che vanno resi assolutamente più accessibili perché molto spesso frequentati da personale già in servizio o con pregressa esperienza su una certa classe di concorso anche in assenza di abilitazione. La totale autonomia degli atenei genera una certa disparità di trattamenti e anche di costi non accettabili.

La riforma del settore universitario della formazione post lauream è un importante elemento di presenza ed assunzione di responsabilità da parte dello Stato in un settore essenziale. Ovviamente anche in questo settore è essenziale evitare la stratificazione del potere e quindi una limitazione relativa al ricoprire cariche sarebbe sicuramente salutare, salvo poi verificare ed eventualmente valutare le diverse gestioni.

Molto denaro pubblico è fluito nelle casse degli Atenei moltiplicandone le sedi, dichiarando questa come una necessità dei territori di offrire servizi al cittadino ma con l’unico risultato poi di innalzare i costi dell’istruzione universitaria oltremodo e moltiplicando le diverse tendenze degli Atenei. La certificazione delle competenze è una questione che non può essere affidata ad enti privati i quali poi vengono anche finanziati.

Poi rientrando in tema, si pone la questione della “professionalità docente” poiché, anche animati da un senso di appartenenza alla categoria, non ci si può sottrarre ad una valutazione di qualità, attenzione, non dei contenuti o delle conoscenze quanto della didattica .

In tal senso è inutile pensare ad un sistema di valutazione, basato su titoli, considerato che uno potrebbe anche andare a dormire ad un corso. L’unico sistema valido ed equo resta la valutazione da parte dell’utenza, (senza invocare la falsa questione che questo significhi per i docenti regalare i voti per apparire più buoni) affiancata a questioni di aggiornamento o titoli. Però se poi i titoli necessitano di ore lavorative che lo Stato deve coprire offrendo ai partecipanti la possibilità di assentarsi oppure se questi corsi poi diventano una TASSA che i docenti devono pagare (solita lotta tra poveri) affinché non venga loro abbassato lo stipendio, la questione cambia.

La seconda questione riguarda la burocrazia e il rapporto della scuola con l’obbligo formativo. E’ necessario riportare alla famiglia delle responsabilità di vigilanza rispetto alla frequenza senza togliere nulla al fatto che, al contrario, lo sforzo pedagogico dei docenti debba essere maggiore e si debba riuscire ad offrire una idea di scuola come opportunità.

Anche la vita dei minori in un luogo come la scuola deve essere deregolamentata. Il core business della scuola deve tornare ad essere la diffusione della cultura e questo può avvenire solo in un panorama meno severo di norme.

Le classi scolastiche non dovrebbero superare i 25 elementi, eccezionalmente arrivare a 30.

In merito al “maggiore potere” ai Dirigenti, credo solo che in genere questi siano assolutamente minacciati ed al tempo stesso ostaggio di burocrazie e conflitti normativi e quindi sarebbe saggio affiancarli ad un gruppo interno che abbia una natura elettiva e che assuma realmente e direttamente delle “quote” di responsabilità per delega. Ciascuno dispone di un monte ore per attuare certe iniziative, ne dispone e ne risponde. Allora ha senso che lo Stato lo paghi di più, ma se si fa riferimento a tanti incarichi di natura puramente formale si osserva come tante risorse siano mal impegnate.

Torna essenziale riflettere sulla riduzione delle burocrazie.

La valutazione è molto frammentaria e su periodi brevi, spesso interrotti da festività e con la necessità di attuare recuperi di prove per gli assenti, con numeri minimi di prove autoimposte, non si fa che perdere ore di concreto esercizio collettivo, o di spiegazione o approfondimento o riepilogo. La valutazione può avvenire in una forma sommativa quadrimestrale liberando i docenti da questo continuo caos valutativo e permettendo loro di concentrarsi sulla didattica.

In questo modo “la didattica” ha più tempo di occuparsi di tutti, ottenendo risultati medi più elevati. Anche l’attuale sistema di valutazione (INVALSI) ha parecchi punti oscuri e richiede una seria revisione dopo una considerazione sul rapporto costi/benefici (comprese le attività delegate di default alle scuole che tolgono altro tempo alla didattica).

Sul piano occupazionale è assolutamente saggio incominciare dall’assorbimento graduale delle graduatorie esistenti, programmando al termine di questa operazione una regolare periodicità concorsuale stabile da qui ad un decennio almeno.

Chiaramente bisogna anche prescindere da un “ricatto occupazionale” come se insegnare fosse una cosa che riesce bene a tutti e quindi comunque vada l’importante è trovarsi in una graduatoria con un punteggio.

Al tempo stesso deve essere resa obbligatoria la valutazione dei docenti da parte di studenti e genitori. Per esempio si possono considerare i cinque docenti con valutazione maggiore e indicarli quali collaboratori dei Dirigenti, mediando così tutte le esigenze ed individuando figure di responsabilità autorevoli.

E’ necessaria inoltre la completa digitalizzazione del sistema dati dei docenti in modo che non siano ulteriormente costretti, come ogni anno a compilare moduli contenenti sempre gli stessi dati e interminabili elenchi di titoli magari già comunicati più e più volte.

La possibilità che i docenti svolgano un numero maggiore di ore settimanali è sicuramente utile ma è chiaro che a fronte di ciò debba esserci un corrispettivo economico almeno simbolico e che una tale disponibilità debba essere data su base volontaria qualora introdotta.

Resta importante anche la riduzione dei costi dell’istruzione dovuti all’acquisto di testi a volte neppure marginalmente utilizzati, a volte solo parzialmente. E’ ora di favorire l’uso di materiale validato dai docenti ma facilmente reperibile in rete a costo zero.

Le tecnologie vengono viste ancora come un problema piuttosto che come una risorsa nella scuola che resta nella sua impostazione troppo tradizionale.

Assolutamente di rilievo è il richiamo che si dovrebbe fare all’uso di una più ampia gamma di voti, da 1 a 10 come previsto.

Sulla discussa abolizione dei voti credo che si possa aprire un dibattito ma rilevo che il voto rappresenta spesso un elemento di “deviazione” della passione per lo studio in qualcosa di estremamente personale, in termini di affermazione che non collima del tutto con l’idea di formazione di base che la scuola secondaria di secondo grado dovrebbe offrire. Ci sono tempi come quello universitario in cui le ambizioni personali in un ambito più specifico possano essere esercitate abbondantemente.

La scuola deve puntare alla promozione di pratiche nel complesso positive sul piano sociale, dell’integrazione, della promozione della cultura, della comprensione delle differenze e del loro abbattimento, all’ arricchimento critico, all’autonomia nella definizione di un metodo di studio, e non solo direttamente alla verifica puntuale di contenuti in forme acritiche o mnemoniche come poi la conquista del  voto spinge a fare.

Gli attuali P.O.F., P.A.I., P.E.P., P.E.I., risultano essere documenti formali che non rispondono nella sostanza al problema dell’integrazione ne meno sono necessariamente uno specchio veritiero delle pratiche dichiarate.

In troppi aspetti le questioni formali prendono il sopravvento su quelle sostanziali, per cui è indispensabile delegiferare, ed eliminare delle condizioni di responsabilità che gravano sui docenti come patate bollenti distraendo questi ultimi dal loro principale impiego ovvero l’insegnamento. La compilazione di carte, la burocrazia, non possono eccedere un 10% sul totale delle ore lavorative previste (nel caso dei docenti ci sono innumerevoli ore extrascolastiche non riconosciute oltre che non pagate) altrimenti è lo stato stesso che impedisce ai docenti di svolgere il loro lavoro.

Richiamo la questione del rendere le verifiche sommative e quadrimestrali per concentrarsi sulla didattica e rendere anche complessivamente dinamico il rapporto scuola/giovani che possono gestire il proprio tempo in maniera meno pedante e via via più responsabile rispetto ai risultati globali attesi.

Credo che dalla condivisione e dalla discussione di un insieme di linee guida di questo genere possa venire fuori correttamente un sistema in grado di valorizzare maggiormente sia i docenti che gli studenti.

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