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Riforma del lavoro, le aziende la bocciano: non favorisce l’occupazione giovanile

Non piace nemmeno alle aziende la riforma del lavoro voluta dal ministro Elsa Fornero: a sostenerlo è “Gi Group Academy”, attraverso i risultati derivanti dalla prima rilevazione dell’Osservatorio permanente sulla Riforma promosso in collaborazione con Gi Group e OD&M Consulting a sei mesi dall’entrata in vigore delle nuove regole. Dal rapporto risulta che la Legge Fornero riduce la cattiva flessibilità, ma non diminuisce il costo del lavoro per quasi tre imprese su quattro (73%) e non aumenta l’occupazione per due terzi delle imprese (66%); per il 59% la Riforma non introduce competitività nel sistema e per un intervistato su due non favorisce l’instaurazione di rapporti di lavoro più stabili, e, al tempo stesso, non facilita i licenziamenti (52%).
La Riforma, sempre secondo l’Osservatorio della Fondazione G Group Academy, per più della metà delle aziende (il 54%) non aumenta l’inserimento dei giovani al lavoro. Inoltre per il 50% delle imprese non crea maggior inclusione delle donne né nuove opportunità di impiego per gli over 50 e per poco meno della metà delle aziende (46%) tende, anzi, a paralizzare le scelte di assunzione delle imprese.
Un giudizio pesante e solo in parte mitigato da quello che viene definito “l’unico obiettivo raggiunto dalla Riforma” cioè la riduzione degli abusi legati all’utilizzo improprio di forme contrattuali flessibili (lo affermano il 54% delle aziende campione, soprattutto le imprese dell’Industria e quelle di grandi dimensioni).
In particolare, chi riconosce influenza o molta influenza alla Riforma rispetto alle proprie scelte aziendali ha dichiarato una diminuzione del ricorso a contratti di collaborazione a progetto (51%), Partite Iva (45%), contratti di inserimento (45%) e a tempo determinato (42%); mentre, è aumentato il ricorso ai contratti di apprendistato (per il 50%) e ai contratti di somministrazione a tempo determinato (per il 36%).
I contratti che a seguito della Riforma sono stati trasformati o abbandonati da almeno la metà del campione sono, invece, quelli di inserimento, associazione in partecipazione, lavoro intermittente, collaborazione a progetto.
In termini di impatto, la Riforma, per 6 intervistati su 10, ha inciso principalmente sulla gestione della flessibilità in ingresso e, sebbene in misura minore, anche sulla gestione dell’uscita delle persone dall’azienda (20%), peggiorandole, rispettivamente per il 55% e il 45% dei rispondenti, e rendendole anche più costose, rispettivamente per il 58% e il 46%.
Alla prima rilevazione online dell’Osservatorio Permanente sulla Riforma del mercato del Lavoro (metà dicembre 2012 -fine gennaio 2013) hanno partecipato oltre 500 imprese rappresentate in prevalenza da HR manager e imprenditori appartenenti principalmente a Pmi (69%); il campione, assicura l’Osservatorio, è rappresentativo della realtà italiana per Settore (Industria, Commercio e Servizi) su tutto il territorio nazionale.
Per il ministro del Lavoro uscente, Elsa Fornero, tuttavia, “questa riforma del lavoro tutti la criticano, ma io credo che sia una riforma buona, mi darei un sette che ragionando in trentesimi come sono abituata sarebbe un 22-23. Alcuni mi chiedono se la rifarei ancora così e io dico di sì se rivivessi ancora quelle circostanze ovvero quei vincoli di risorse che c’erano e quei vincoli politici-istituzionali.
Mi sono mancati sei miliardi per ridurre il costo del lavoro in questa fase – ha voluto sottolineare il ministro – quelle risorse sarebbero state fondamentali per ridurre in questa fase di grave recessione il costo del lavoro che è un forte problema per le imprese”.
La Fornero ha ricordato come nel frattempo al suo collega francese siano stati forniti 10 miliardi strutturali. “Quelle risorse sarebbero state da abbinare alle nuove regole perché – ha concluso – la nostra riforma è stata sostanzialmente una riforma delle regole del mercato del lavoro, dove le parole chiave sono state inclusione e dinamismo, obiettivi non certo di breve termine”.
Alessandro Giuliani

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