Il nuovo sistema di finanziamenti agli Atenei statali italiani non sarà più relativo solo al numero degli studenti iscritti. I finanziamenti non cadranno…a pioggia.
I fondi, per l’avvenire, saranno ripartiti in più capitoli. Il 30 % sempre secondo il numero degli studenti iscritti, con esclusione delle nuove immatricolazioni e dei fuori corso. Un altro 30 % sarà ripartito in base ai risultati della didattica la cui valutazione sarà affidata ai nuclei di valutazione che terranno conto dei giudizi che sui loro professori daranno gli stessi alunni.
Un altro 30 % deriverà dai risultati degli accertamenti della ricerca scientifica. Un ultimo 10 % sarà dato tenendo conto della mobilità degli studenti, delle strutture esistenti per l’integrazione degli universitari disabili e dei progetti di scambi internazionali.
Gli studenti avranno una vera e propria scheda di valutazione, rigorosamente anonima. Il loro giudizio sarà tenuto nella massima considerazione.
Sta maturando, come si vede, una nuova idea di docenza universitaria più aperta e dinamica rispetto a quella del passato, chiusa e che non prevedeva che la prestazione, leggasi autorità, del docente potesse essere sottoposto a giudizio, massimamente dai suoi alunni.
Un’idea che fa crollare finalmente la sacralità della professione del docente universitario che oggi si qualifica non se rimane chiuso nella torre eburnea della sua, tante volte presunta, saggezza disciplinare, ma se sa giocarsi la sua professionalità anche perché stimolato dalla consapevolezza di dover rendere conto agli altri, alunni destinatari compresi, della sua azione di insegnamento.
Certo non sarà facile passare al nuovo sistema di finanziamenti nella cultura universitaria italiana che ha sempre visto, e purtroppo ancora tante volte vede, il docente universitario come membro di una casta anche se una casta culturale.
Dovranno passare decenni prima che l’intellighenzia universitaria italiana metabolizzi siffatta novità anche se, bisogna ricordare, sistemi di valutazioni dei professori universitari esistono già nelle varie università non statali e private italiane.
Qui da sempre agli utenti, agli studenti, insomma, si riconosce il diritto di esprimere la propria valutazione su coloro a cui sono stati affidati i processi di insegnamento/apprendimento. È un diritto perché chi frequenta gli atenei privati deve sobbarcarsi ad oneri economici tante volte esosi. E, secondo la legge del mercato, ha diritto ad una prestazione di qualità.
Nelle Università private, Luis, Bocconi, Cattolica ecc. esistono specifici sistemi di valutazione dei docenti, entrati in funzione da più decenni, dagli anni Settanta e che oggi non vengono in nessun modo messi in discussione. Per loro natura le università non statali sono in concorrenza con quelle statali e i giudizi degli studenti sono occasione di miglioramento delle offerte formative e non è detto che i primi a guadagnarne non siano gli stessi docenti che, sapendo di godere del consenso dai loro alunni, sono stimolati a migliorare la loro prestazione.
L’innovazione, tuttavia, va nella direzione di quanto già stanno facendo gli Stati Europei, e non, da decenni dove da sempre, come in America, esisto l’obbligo per i professori di tenere annualmente un corso originale nella sua materia.
È auspicabile che entrando gradualmente anche nelle nostre università statali alla fine contribuisca a migliorare sia l’insegnamento che la ricerca.