Home Personale Riforma della scuola: il no degli insegnanti al “premio di merito”

Riforma della scuola: il no degli insegnanti al “premio di merito”

CONDIVIDI

Era gli insegnanti impegnati in questi giorni nelle programmazioni e nei Collegi dei Docenti che preparano l’inizio dell’anno scolastico 2015/2016, circola in rete una proposta che può rendere concreto il loro profondo dissenso sulla nuova legge 107, la riforma Renzi-Giannini sulla scuola, dissenso espresso d’altra parte da tutte le sigle sindacali.

Perché la nuova legge ha già avuto l’effetto, fin da prima che fosse approvata in Parlamento in piena estate, blindata con la fiducia, di compattare tutti i sindacati. Lo sciopero unitario del 5 maggio scorso ha un’importanza storica, e non va visto come l’espressione di una categoria che vuole mantenere presunti “privilegi” (le condizioni del lavoro, un contratto scaduto da anni, l’abuso del precariato, la scuola pubblica della Costituzione), ma la consapevolezza che la nuova legge, di cui sono già stati evidenziati alcuni aspetti incostituzionali e per cui è allo studio la raccolta di firme per il referendum abrogativo, attiva meccanismi che peggiorano la condizione degli insegnanti e di conseguenza avranno effetti distruttivi sulla scuola pubblica.

La proposta che circola in rete, se diffusamente acquisita come mozione individuale o mozione del Collegio dei Docenti, incide sul cuore stesso di questa brutta riforma: la concessione di un premio una tantum agli insegnanti a cui viene riconosciuto il “merito” di essere dei “buoni insegnanti”. Infatti la legge 107 prevede che ogni anno un comitato di valutazione (composto da dirigente scolastico, docenti, genitori/alunni, membro designato dall’Ufficio scolastico) decida chi sono gli insegnanti “meritevoli” che godranno all’incirca di una mensilità in più di stipendio. Invece di avere riconosciuta la professionalità attraverso uno stipendio di livello europeo, gli insegnanti saranno umiliati ogni anno dal “concorso a premio” all’italiana, un meccanismo deleterio che innesca nella scuola la competizione invece della collaborazione, e ingigantisce la guerra fra poveri che si celebra ogni anno, quel misero tentativo di integrare lo stipendio con fettine della sempre più piccola torta del fondo di istituto (200-300 euro all’anno a testa [!]), risorse destinate ai progetti che dovrebbero arricchire l’offerta formativa a beneficio degli alunni.

La risposta può essere finalmente alta, etica e politica. Dichiarare il proprio rifiuto ad accettare qualsiasi premio di merito eventualmente deciso dal comitato di valutazione, devolvendolo al fondo della scuola. Secondo quali criteri un insegnante è un “buon insegnante”? Lo si può mai stabilire attraverso i risultati fatti registrare dai suoi alunni ai test Invalsi? (Ecco come vengono alla fine utilizzati questi test!…). Meglio, allora, che il “premio” vada a compenso di lavoro e attività di organizzazione che finora non sono adeguatamente retribuiti, come ad esempio l’impegno dei coordinatori di classe, dei verbalizzatori ecc. Quindi si chiede che i due docenti scelti dal Collegio dei Docenti si impegnino, con assoluto vincolo di mandato, a individuare solo chi ha svolto questo tipo di attività.

L’iniziativa, che nasce dai Cobas-Scuola (http://www.cobas-scuola.it/), appare l’unica presa di posizione concreta che rivendichi, anche agli occhi dell’opinione pubblica, la dignità professionale di chi fa un mestiere difficile, qualificato e importante per la società, e si trova di fronte a norme dettate da presunte logiche efficientiste ed aziendaliste. Errori madornali, soprattutto nella scuola.