“Sulla scuola abbiamo fatto qualche pasticcio. In settimana c’è una cosa che dobbiamo fare: dobbiamo scegliere con il ministro Giannini il modello di concorso per la scuola”.
A fare il mea culpa sulle decisioni prese dal governo sulla scuola, riferendosi alla riforma, la Legge 107/2015, è stato il premier Matteo Renzi, intervenendo domenica 7 febbraio alla scuola di formazione politica del Pd.
Il presidente del Consiglio non è entrato nel merito degli errori. Forse, però, il riferimento è alle tante proteste che hanno caratterizzato gli ultimi mesi dello scorso anno scolastico, culminati con lo storico sciopero unitario di inizio maggio, per dire no al merito per pochi, ai nuovi comitati di valutazione, agli albi territoriali e allo spostamento delle competenze dei dirigenti scolastici sempre più verso gli aspetti manageriali.
Negli ultimi mesi, la contestazione si è sopita. Il personale ha ripreso a lavorare, ma il malessere rimane vivo. Basti pensare alle polemiche per la gestione, molto approssimativa, dei quasi 50mila docenti assunti con il “potenziamento”, la maggior parte dei quali si sono ritrovati a disposizione delle scuole senza avere ancora oggi dei compiti definiti.
È probabile che il Pd si sia reso conto che tutto questo andare sta facendo perdere non pochi consensi. Il “conto” potrebbe essere presentato al partito, già in occasione delle prossime elezioni amministrative, in programma il 12 giugno (con eventuale ballottaggio per la scelta del sindaco il 26 dello stesso mese) che si svolgeranno in contemporanea in cinque città simbolo della Penisola: Roma, Milano, Torino, Napoli e Bologna.
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Renzi, per il momento, ha accennato il discorso. E ha concentrato il resto dei concetti espressi sulla scuola, sul prossimo concorso per docenti: “in settimana una delle cose che dobbiamo fare è scegliere con il ministro Giannini il modello di concorso che porterà 63.217 persone in cattedra”.
“Uno dei temi in ballo è mettere o meno una o due domande di inglese e c’è una discussione vera e accesa. Sembra una piccola cosa ma andarla a cambiare, potrebbe portare un prof di matematica a essere bocciato pur essendo molto in gamba”, ha aggiunto.
Il premier ha ammesso che “non è un tema semplice. Se lo aprissimo qui credo che saremmo divisi a metà: da un lato uno dice ‘A me insegnante precario per dieci anni lo Stato ha dato aspettative ma non ha insegnato a parlare inglese’; dall’altro c’è chi dice ‘Sì, ma fuori di qui il mondo chiede modifiche'”.
Alla fine dell’intervento, però, Renzi fa anche intendere che le certezze palesate in settimana dal ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, sui due quesiti in lingua inglese, a fronte di otto complessivi relativi alla prova scritta, stiano venendo meno: “la politica è anche cambiare e fare scelte. Si può anche sbagliare, quello che non è possibile fare è rimandare le scelte, andare avanti con lo stesso schema”, ha concluso il premier.
Chissà se lo stesso atteggiamento, se l’apertura a cambiare, arriverà anche sui punti più contesi della riforma? Magari “correggendoli”, o riducendone la portata, attraverso le nove leggi delega che si stanno realizzando con l’apporto delle parti sociali. L’aver detto che “sulla scuola abbiamo fatto qualche pasticcio”, potrebbe fare intendere anche questo. In tanti, quanto meno, lo sperano.
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