I dipendenti della scuola – docenti, dirigenti, educatori, Dsga, Ata – fanno parte dell’amministrazione pubblica: quindi rientrano anche loro nel trasferimento obbligatorio in un altro comparto che detiene posti vacanti? A domandarselo sono in tanti, sicuramente i migliaia di soprannumerari, soprattutto insegnanti (quest’anno se ne contavano più di 8mila), che qualora non venissero ricollocati potrebbero rientrare in questa norma inserita il 13 giugno dal CdM nel decreto di riforma della Pubblica Amministrazione.
Per il momento, dobbiamo accontentarci delle informazioni certe: il trasferimento avverrà nello stesso Comune di residenza oppure in un raggio di 50 chilometri, con l’entità dello stipendio che verrà garantito anche nel nuovo comparto. E di quanto contenuto nel “freddo” comunicato del Consiglio dei ministri, dove si parla di “nuove disposizioni perché le amministrazioni possano ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti in servizio presso altre amministrazioni”.
Con le ipotesi ci fermiamo qui: sarebbe iinutile avventurarsi in commenti o considerazioni. Di sicuro, però, il pericolo è fondato. Almeno sino a quando non si dovesse apprendere, a questo punto direttamente dal testo “licenziato” dal Governo, che per la scuola il trasferimento obbligatorio non vale.
Scuola inclusa o meno, la norma (che nei prossimi giorni, come tutte le altre che compongono la riforma della PA, sarà al vaglio dei due rami del Parlamento), non sembra piacere ai sindacati. Come quella della riduzione del 50% dei distacchi sindacali già a partire dal prossimo 1 agosto. “Quel che è sicuro – annuncia Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – è che anche il dimezzamento della rappresentatività sindacale non arretrerà di un millimetro la nostra azione. A tal proposito annunciamo sin d’ora la volontà di impugnare il provvedimento. Ed anche contro la mobilità ‘selvaggia’, che non tiene conto delle condizioni di vita, a livello personale e familiare, dei lavoratori”.
Il sindacato sostiene che quello del Governo è una sorta di colpo di mano: “stiamo già preparando ricorsi ad hoc da inviare alla Corte di Giustizia Europea. In attesa di prendere visione del provvedimento definitivo approvato dal CdM, Anief-Confedir ha dato mandato ai propri legali di valutare la possibilità di ricorrere in tribunale per valutare l’entità del contrasto contro le norme comunitarie sui trasferimenti da un settore pubblico all’altro”.
Ma ci sono anche altre parti del decreto di riforma della PA che toccano il mondo dell’Istruzione. Ad iniziare dalle deroghe per i dipendenti in età di pensionamento, che tecnicamente si chiama “revoca dei trattenimenti in servizio”. Scatta anche la messa a riposo dei lavoratori che hanno i requisiti per la pensione anticipata (nel 2014 42 anni e 6 mesi di servizio per gli uomini, 41 anni e 6 mesi per le donne) anche se non avranno ancora l’età della pensione di vecchiaia. Queste ”norme sul ricambio generazionale – ha detto con soddisfazione il premier Matteo Renzi – permetteranno di creare 15 mila posti”. Il provvedimento non risparmierà nessuno: varrà per i dipendenti della scuola, al pari dei professori universitari, dei dirigenti medici responsabili di struttura complessa e del personale delle Autorità indipendenti. Per docenti, Ata e gli altri lavoratori che operano nelle scuole, tuttavia, l’applicazione della norma che abroga il trattenimento in servizio troverà applicazione solo nel 2015: l’istituto viene abolito da fine ottobre, hanno fatto sapere fonti del Governo.
C’è poi n’altra decisione che riguarda il mondo della formazione, stavolta universitaria: l’innalzamento del numero dei contratti per le scuole di specializzazione medica, che passa da 3.300 a 5.000: “con questo provvedimento – ha detto il responsabile del Miur, Stefania Giannini – si inverte la rotta e si concretizza un lavoro fatto nellesclusivo interesse dei giovani medici. La norma approvata ieri prevede anche che la revisione della durata delle scuole di specializzazione entrerà in vigore a partire dal prossimo anno accademico”.
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