Nell’ora e mezza di audizione del ministro Patrizio Bianchi al Senato sono stati affrontati alcuni nodi legati al recente decreto legge 36 (di cui si stanno occupando le Commissioni Affari Costituzionali e Istruzione del Senato). In particolare il ministro si è soffermato sulla questione relativa ai 60 Cfu che dovrebbero caratterizzare il nuovo percorso di formazione iniziale dei docenti, con grande disappunto di qualche sigla sindacale che vede nei crediti essenzialmente un’occasione di speculazione che mette in piedi un mercato enorme.
“Nel testo che abbiamo proposto c’era una riduzione drastica dei 60 crediti. Ma poi abbiamo sentito tutte le società scientifiche, i matematici, i fisici, l’Accademia dei Licei, e tutti ci hanno detto che nella magistrale disciplinare non si può togliere neanche un credito alla disciplina, ma soprattutto tutti ci hanno detto che non si possono sostituire crediti disciplinari con crediti pedagogico-didattici per chi voglia fare l’insegnante,” riferisce il ministro Bianchi.
“Quindi siamo giunti all’idea di prevedere 60 crediti aggiuntivi,” aggiunge il ministro, aprendo anche alla possibilità di una ulteriore modifica: “Possiamo anche fissare meglio la cosa, con un master riconosciuto con valore abilitante, purché funzioni in modo tale che i crediti siano sempre dati dagli atenei, magari anticipabili nel tempo ma in forma di crediti aggiuntivi: questo è l’accordo con il ministero dell’Università”.
Del resto, precisa il ministro “è l’Università che si impegna a garantire un ateneo dotato di effettiva capacità di riconoscere i crediti, in termini di strumentazione, di persone adeguate, di attività di ricerca. Ma non dobbiamo neanche strafogare le nostre università – avverte – altrimenti non le mettiamo in condizione di fare quello che domandiamo loro”.
Quanto ai temi dell’Indire, dell’Invalsi, dei livelli di apprendimento e della scuola di formazione, il ministro si è difeso: “Non abbiamo creato un nuovo baraccone – risponde alla senatrice Bianca Laura Granato – abbiamo fatto una scuola di formazione leggerissima, con 5 membri che possano fare riferimento a tutto il nostro sistema universitario e di formazione superiore. Si utilizzino Invalsi e Indire, su cui stiamo operando una profonda rilettura. La scuola di alta formazione è il luogo dove fare convergere le due istituzioni con le loro specificità”.
“Didacta a Firenze ha dimostrato l’enorme quantità di sperimentazione didattica che oggi esiste a livello di scuole. Noi abbiamo un’immagine della scuola nel suo complesso che non dà il giusto valore alla quantità di grandi e buone pratiche delle nostre singole scuole, che dovranno diventare patrimonio comune”.
“Ma dobbiamo contrastare la discontinuità che ha caratterizzato tutte le norme sull’autonomia nel finire degli anni ’90. L’autonomia permette nell’ambito della singola scuola di avviare percorsi di sperimentazione e innovazione. Però il problema è farli diventare generali, questi percorsi, farli scambiare. La scuola di alta formazione ha una propria dotazione, non sottrarrà docenti né risorse alla scuola”.
E conclude: “Fare una scuola leggera, questo il nostro obiettivo, essenzialmente un comitato scientifico con una segreteria, per connettere le buone pratiche all’interno del sistema scolastico”.
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