A sentire parlare il premier di scuola, non sembra vi siano ripensamenti: la maggioranza del PD intende andare avanti con la riforma.
Matteo Renzi ammette, il 4 luglio, durante l’attesa Direzione del Pd, che lo scorso anno la protesta è stata massiccia. Ma siccome il suo partito ha deciso di “tenere duro”, di non cedere alla contestazione, contro merito, dirigenti con super poteri, albi territoriali, chiamata diretta e via dicendo, oggi più che ieri non sembra esserci alcuna intenzione di ravvedersi. Né di cambiare rotta di qualche grado.
“Quando qualcuno contesta sulla scuola, dobbiamo notare come oggettivamente si sia prodotta una frattura nel maggio del 2015 – ricorda Renzi – e come questa frattura sia stata gestita dal Pd, di come la discussione abbia prodotto passi in avanti, di come la percentuale di quelli che hanno fatto” le prove “Invalsi sia aumentata a dismisura”.
Francamente, il riferimento alle prove nazionali standard realizzate nelle scuole nel corso di quest’anno, non comprendiamo quanto possa essere associato come esempio per giustificare l’inconsistenza del malcontento per l’approvazione della riforma, se non nel fatto che aumentando il numero di adesioni alle prove Invalsi si vuole intendere che la protesta è ormai scemata.
Renzi torna poi a confermare quanto detto da tempo: “sul tema della scuola si gioca parte importante del futuro del nostro Paese”.
Il presidente del Consiglio racconta quindi un aneddoto, riguardante la conclusione degli studi da parte di uno studente disabile della scuola superiore. Facendo intendere che questa esperienza, a lieto fine, il suo conseguimento della maturità, incarni in qualche modo la dimostrazione del livello di alta qualità della scuola italiana.
“Oggi a Gela – racconta il premier – si è diplomato Samuele, un ragazzo autistico che ha avuto la forza e il sostegno delle persone che stavano con lui. Quando uno come Samuele arriva al diploma noi, nel preoccuparci di come garantirgli un domani dobbiamo essere anche orgogliosi della scuola italiana e non cedere ad una interpretazione macchiettistica”. Per poi concludere: ricordate, ad ogni buon contro, che “abbiamo messo 3 miliardi sulla scuola”.
Francamente, riteniamo che a “cadere” nell’interpretazione “macchiettistica” sia stato però proprio Renzi. Perché ridurre le problematiche o i pregi dell’istruzione italiana al raggiungimento del diploma di maturità di un ragazzo autistico, appare fuorviante.
Perché, invece, il premier, non si è soffermato sui problemi generalizzati delle nostre scuole? Avremmo preferito, decisamente, che avesse speso due parole sul precariato che non si riduce, sugli stipendi fermi da sei anni, sui finanziamenti ancora dimezzati per il miglioramento dell’offerta formativa. O, più semplicemente, sulle difficoltà che sta incontrando l’applicazione della Legge 107/2015, ad iniziare dall’attuazione più che “mitigata” della chiamata diretta.
Proprio a scuola, gli insegnanti, che sono oggi tra i meno pagati dell’area Ocse, ci hanno insegnato che il confronto aperto è l’arma migliore per vincere la diffidenza. Potremmo anche sbagliarci, ma dire che “dobbiamo essere orgogliosi per la scuola italiana”, senza però entrare nel merito delle questioni aperte, non appare una scelta orientata al confronto. Mentre, sembra porre le basi per alimentare il solco del dissenso verso l’attuale Governo.
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