Tutto come copione: il 30 novembre, meno di tre ore dopo aver terminato l’esame dei 400 emendamenti presentati dai deputati di opposizione e maggioranza, subito dopo la relazione dei capigruppo, con 307 sì, 252 no e 7 astenuti la Camera ha approvato il D.d.L. sull’Università. Che così tornerà al Senato, dove il testo era stato licenziato a fine luglio in modo molto meno sofferto: studenti e ricercatori hanno tentato fino all’ultimo, dopo le proteste dei giorni passati a convincere i finiani a mantenere la rottura con la maggioranza: in una Roma piovosa e dal centro blindato, ufficialmente per evitare il ripetersi di atti di vandalismo, hanno sfilato, urlato, sono venuti in contatto con le forze dell’ordine, bloccato per un’ora il traffico ferroviario. E scene simili si sono ripetute in decine di città: per l’Udu tutti gli atenei sono stati di fatto bloccati ed alle manifestazioni hanno partecipato 400.000 studenti complessivi. Alla fine, però, in Aula ha prevalso la linea degli esponenti di Fli, da oltre due anni impegnati in prima linea per la realizzazione del D.d.L., che evidentemente non se la sono sentita di tornare sui loro passi.
Cosa succederà ora? Diciamo subito che con il via libera di Montecitorio le probabilità che la riforma diventi Legge dello Stato sono sensibilmente aumentate. Ma non è detta l’ultima parola. A preoccupare i suoi promotori, in testa il ministro Gelmini, sono i tempi davvero stretti per far esprimere l’Aula di Palazzo Madama: dopodomani si riuniranno di nuovo i capigruppo (Franceschini per il Pd ha già tirato su diversi ‘paletti’) e quelli della maggioranza tenteranno di calendarizzare l’appuntamento per il 9 dicembre. Quindi poche ore prima del voto sulla Legge di Stabilità, peraltro legata a doppio filo con la riforma per la presenza di alcuni emendamenti – la promozione come docenti di 1.500 ricercatori l’anno tra il 2011 ed il 2013 e lo sblocco degli scatti stipendiali per i dipendenti accademici più meritevoli – la cui attuazione dipenderà proprio dalle risorse finanziarie previste con l’importante provvedimento finanziario di fine anno.
Ma vi sono anche altri emendamenti approvati nelle ultime ore a Montecitorio: tra i più importanti figura il giro di vite sui nepotismi accademici, attraverso l’impossibilità di avere parentele fino al quarto grado, per partecipare ai concorsi, con professori appartenenti al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata, oltre che il rettore, il direttore generale o un consigliere d’amministrazione dell’ateneo. Approvata anche la riduzione del mandato massimo dei rettori, da sedici a sei anni. Arrivano poi incentivi che consentano di poter operare in Italia ai ricercatori italiani che hanno svolto un dottorato all’estero, ma che decidono di tornare nel proprio paese. Si introduce il limite al 5% degli organici di ruolo per la stipula di contratti di docenza e ricerca con esperti esterni a titolo gratuito. Qualora il testo venisse approvato al Senato, gli organi direttivi dei 66 atenei italiani dovranno mettersi subito al lavoro: entro sei mesi dall’approvazione della legge, tutte le università dovranno infatti approvare degli statuti in linea con le nuove norme. Prima però serve l’ok del Senato. E gli studenti promettono: almeno sino ad allora la protesta continuerà.
Vignetta di Andrea Lupo