Le audizioni che si sono svolte nei giorni scorsi presso la Commissione Cultura del Senato hanno evidenziato un tema che la nostra testata aveva segnalato già alla vigilia dello sciopero del 5 maggio:
“ritiro del disegno di legge” è stata la parola d’ordine delle manifestazioni svoltesi in concomitanza con lo sciopero, mentre i sindacati, ad eccezione di quelli di base, chiedevano – con modalità e sfumature diverse – modifiche più o meno sostanziali del provvedimento.
L’equivoco è andato avanti per tutto il mese di maggio come se si trattasse di un problema secondario.
Ma adesso la questione si ripropone.
Basta leggere i comunicati sindacali di queste ore per rendersene conto.
Flc-Cgil, per esempio, chiede che i fondi per il “merito” (200 milioni di euro all’anno) vengano distribuiti fra le scuole a seguito di una contrattazione nazionale in modo da sostenere le scuole in magggiore difficoltà, e successivamente attribuiti ai singoli docenti previa contrattazione d’istituto fra dirigente scolastico e RSU.
Sullo stesso tema proposte analoghe arrivano anche da altri sindacati.
La Gilda di Rino Di Meglio chiede che del comitato di valutazione non facciano parte né genitori né studenti.
E così via.
Su una lunghezza d’onda diversa sono Cobas e Unicobas che continuano a rimanere fermi sulla richiesta di ritiro del disegno di legge.
A partire da lunedì il problema dovrà in qualche modo essere affrontato, perchè i docenti dovranno decidere se e come aderire allo sciopero degli scrutini: come verrà utilizzata dai sindacati rappresentativi una massiccia adesione alla protesta? Per sostenere le proprie richieste di modifica (posizione mantenuta in COmmissione Cultura) o per dare spazio alla parola d’ordine “ritiro del ddl”, come viene chiesto da una parte consistente del mondo della scuola?
La contraddizione è pesante, affrontarla e risolverla non sarà semplice
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