Dopo il successo della doppia intervista rivolta a Marcello Pacifico e Stefano d’Errico, leader rispettivamente di Anief e Unicobas, ‘La Tecnica della Scuola’ vuole dare spazio ad altri due protagonisti della scena sindacale scolastica italiana: sono Massimo Di Menna, segretario generale della Uil Scuola, e Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli insegnanti.
I loro sindacati, assieme a Flc-Cgil, Cisl Scuola e Snals, hanno aderito allo sciopero proclamato per l’intera giornata di martedì prossimo, quando si svolgeranno una serie di manifestazione anti-riforma nella piazze di diverse città italiane.
Il motivo della contestazione ruota attorno alla richiesta di modifica sostanziale della #riformabuonascuola, su cui nei prossimi giorni, a partire dal 18 maggio, si esprimerà l’Aula della Camera dopo le dovute analisi e la valutazione di oltre 2.300 emendamenti al disegno di legge di riforma n. 2994 da parte delle Commissioni di competenza.
Quando, l’estate scorsa, il Partito Democratico ha espresso l’intenzione di far approvare la riforma della Scuola, i sindacati non sembravano particolarmente critici. Come si è arrivati all’attuale contrapposizione?
DI MEGLIO: Per quel che concerne la Gilda non è esatto: sin dallo scorso 5 ottobre, in coincidenza con il convegno per la giornata mondiale dell’insegnante, avevamo elaborato una puntuale critica a tutto l’impianto della cosiddetta Buona Scuola. E contro il progetto del governo la Gilda organizzò già il 23 novembre una manifestazione nazionale a Firenze. Poi l’elaborazione dei testi successivi, prima il decreto e poi il disegno di legge, ha talmente peggiorato la situazione da sollevare una protesta corale.
DI MENNA: All’inizio del suo mandato, a partire dall’intervento in Parlamento per la fiducia del Premier, la scuola è stata posta come aspetto centrale delle politiche per lo sviluppo. Poi c’è stato il documento per la così detta consultazione, che sia nel metodo che nei contenuti ha evidenziato aspetti decisamente negativi, dalla Uil Scuola evidenziati con chiarezza ad ottobre in sede di congresso nazionale di Torino. La legge di stabilità ha introdotto la solita scelta di tagli. Soprattutto il grave errore del Governo è stato chiudersi nelle stanze dei ministeri, senza nessun confronto con il sindacato ed un testo legislativo pericoloso per la qualità della scuola, per i contenuti.
Perché martedì prossimo un insegnante o un componente del personale Ata dovrebbe aderire al vostro sciopero?
DI MENNA: Ci sono tre forti ragioni: la prima riguarda i precari, migliaia di insegnanti verrebbero di fatto licenziati, i neo abilitati di seconda fascia, per i quali, pur insegnando da sette, otto, anche di più anni, c’è il divieto di reiterazione dei contratti dopo tre anni; per questi occorre un piano pluriennale di immissioni in ruolo e la piena copertura dei posti disponibili. Secondo motivo: il totale potere decisionale ai dirigenti scolastici, nella scelta dei docenti, nella valutazione anche didattica, nella retribuzione. Si tratta di una scelta che mina pluralismo culturale, libertà’ di insegnamento, ruolo degli organi collegiali, diritti contrattuali, un mix esplosivo che non esiste in nessun altro paese. Terza ragione: l’eliminazione delle norme contrattuali in materia di orario, retribuzione, che si aggiunge al blocco del contratto e che trasformerebbe il personale della scuola in sudditi, unica categoria di lavoratori dipendenti privi di tutele contrattuali. Come è evidente si tratta di ragioni importanti e tutte sindacali.
DI MEGLIO: Perchè siamo di fronte ad un vero e proprio attentato alla libertà di insegnamento, ad una visione sbagliata e gerarchica della scuola, all’annichilimento di qualsiasi collegialità e all’eliminazione dei diritti contrattuali.
Cosa ha pensato quando il premier Renzi ha detto, all’indomani della vostra decisione di fermare la didattica il 5 maggio, che “fa ridere scioperare contro chi sta assumendo 100mila insegnanti”?
DI MEGLIO: Questo significa legare la stabilizzazione, imposta dalla giustizia europea, ad un vero e proprio ricatto. In cambio della stabilizzazione, i docenti devono accettare il preside-podestà, gli albi territoriali e gli incarichi triennali. Non c’è proprio nulla da ridere!
DI MENNA: Che sbagliava, e che chi sciopera compie un sacrificio che merita rispetto, altro che irrisione. Un’uscita improvvida: che ha ulteriormente irritato i lavoratori.
Dal Governo si continua a dire che la scuola è composta prima di tutto dagli studenti: e loro, con le rispettive famiglie, starebbero con la linea riformista dell’Esecutivo. Mentre i sindacati non avrebbero più un grosso appeal. Come stanno le cose?
DI MENNA: La scuola autonoma è una parte dello Stato, lo dice la Costituzione, quindi dei cittadini, descriverla con superficialità è fonte di polemica; in realtà è come una galassia, si regge con equilibrio tra le componenti, che devono svolgere la loro specifica funzione e responsabilità, confondere i ruoli crea danni. Ad esempio, se si capovolge nella valutazione il rapporto insegnante-alunno, cade tutto il sistema. Per quanto riguarda i sindacati, i nostri consensi, pubblici e certificati aumentano in continuazione e vedrà il premier, il giorno 5, quanti su nostro invito sciopereranno. D’altronde, basta riflettere sui dati relativi alle elezioni Rsu. Con i sindacati si discute per risolvere i problemi. Prima il premier lo comprende, meglio sarà. I pasticci che combina il Governo dimostrano che il confronto con i sindacati serve anche per dare un surplus di competenze.
DI MEGLIO: E’ un volgare spot propagandistico che tenta di dividere le componenti della scuola. Non stiamo difendendo un presunto potere sindacale, ma i diritti fondamentali degli insegnanti, sanciti dalla Costituzione, e anche quello di famiglie e studenti a partecipare ad una comunità democratica ed educativa.
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Al personale quest’anno è stato chiesto di astenersi dal lavoro in diverse occasione: tra sindacati rappresentativi e autonomi si è arrivati a proclamare più di dieci scioperi. Ma questo “spezzettamento” di proteste non rischia di indebolire il sindacato?
DI MEGLIO: Vi sono piccole sigle che fanno uno sciopero al mese con adesioni bassissime, attorno all’1 per cento. Non possono essere confrontate con uno sciopero unitario dei cinque sindacati rappresentativi che raccolgono il 92 per cento della categoria scolastica.
DI MENNA: Lo sciopero è un sacrificio per i lavoratori, non serve a niente proclamarlo, ma è efficace se altamente partecipato e non può essere un’abitudine. Quando è indetto da tutti i sindacati rappresentativi, le persone ne colgono la necessità, è danno forza alle rivendicazioni che devono essere chiare e concrete: questo è lo sciopero del 5 maggio e, sono certo, avrà un’altissima adesione.
C’è chi sostiene che se alla Camera dovessero essere approvati una parte significativa degli emendamenti al ddl di riforma, presentati anche dai sindacati nel corso delle audizioni, potreste anche valutare di cancellare lo sciopero del 5 maggio: è vero?
DI MENNA: Il sindacato non è in Parlamento e non presenta emendamenti; sulle nostre richieste il Governo balbetta, procede con dichiarazioni altalenanti, non dà risposte chiare. Il Parlamento conosce le nostre memorie ed auspico che ascolti la scuola che, indignata, protesta. Il governo dovrebbe convocare i sindacati, concludere un’intesa sui tre punti evidenziati. Non mi pare che abbia intenzione. Gli insegnanti chiedono certezze, non parole, l’offesa subìta è forte. Lo sciopero del 5 è ovviamente confermato.
DI MEGLIO: Lo sciopero si indice per ottenere dei risultati tangibili. La verità è che il Governo non ha accettato alcun confronto con i sindacati, quindi il 5 maggio non c’è più nessun dubbio sullo sciopero.
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Come giudica la decisione dell’Istituto di Valutazione di posticipare al giorno dopo le prove Invalsi da svolgere nella primaria il 5 maggio? In questo modo non si vanificano portata e motivi della protesta?
DI MEGLIO: Una mossa del genere, alla vigilia dello sciopero, è stata inopportuna, provocatoria e probabilmente anche illegittima.
DI MENNA: Una decisione di dubbia legittimità, che trae origine dalla totale assenza politica del ministro, che istituzionalmente dovrebbe essere seduta a confrontarsi con noi, lascia che le cose vadano e si limita a commentarle, è di fatto opinionista. Non credo che incida sulla protesta, anzi potrebbe aver ulteriormente irritato. Di fatto, l’Invalsi ha anticipato lo sciopero del 5, ne ha anticipatamente certificato la riuscita. Ripeto, il grande assente è il ministro. La responsabilità del governo è quella di aver creato uno scontro governo-scuola. L’unico approccio possibile è la retromarcia chiara del governo, con un decreto sulle assunzioni, un dibattito parlamentare disteso sugli investimenti per la scuola, una modernizzazione vera, una valorizzazione delle professionalità, un negoziato per un contratto innovativo.
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