Ripristinare la “centralità della scuola” come perno dello sviluppo non solo individuale dello studente ma del Paese Italia, è stato un felice refrain che è riecheggiato durante la recente crisi di governo, che si è positivamente chiusa con l’incarico al Ministero dell’Istruzione del prof. Patrizio Bianchi, che per mesi ha coordinato il Comitato di esperti nominato dall’ex ministro Azzolina ed elaborato una road map per ripensare la scuola, le sue finalità, la sua funzione nella società della conoscenza del post-covid.
Anche il dibattito politico di questi giorni è stato incentrato su tematiche che riguardavano il mondo della scuola e accanto all’idea prospettata della possibilità e necessità di allungare il calendario per dare una risposta alle criticità provocate dalla pandemia, c’è stata una presa di posizione, diffusa soprattutto sui social da parte dei docenti per ribadire l’impegno e la professionalità messa in campo sia con la didattica a distanza, sia con la didattica digitale integrata, sia con la didattica a domanda praticata da alcune regioni che hanno voluto scaricare sulle scuole e sulle famiglie la gestione del diritto allo studio.
Due “verità”, due problemi reali, rappresentati uno dalla documentata criticità dei risultati conseguiti nelle performance degli studenti e l’altra del maggior impegno professionale degli operatori scolastici necessario per affrontare la situazione emergenziale, hanno creato le solite incomprensioni che ha caratterizzato il dibattito sulla scuola negli ultimi decenni tra decisori politici ogni volta che annunciano novità e il mondo della scuola tremendamente autoreferenziale e resistente ai cambiamenti.
Le due verità sono anche documentate da monitoraggi effettuati in questo periodo che hanno dimostrato come circa l’8% degli studenti non è stato coinvolto nelle attività didattiche e il 18% è stato parzialmente raggiunto e quindi circa 2 milioni di studenti hanno avuto durante il periodo covid un’esperienza di scuola poco o per nulla adeguata.
È stato unanimemente documentato anche il maggior impegno dei docenti per rimodulare la didattica, per ridefinire gli obiettivi con conseguente maggior impegno collegiale, per gestire gli ambienti di apprendimento, per coinvolgere gli stessi studenti.
Questi dati avrebbero dovuto creare una positiva alleanza tra insegnanti, studenti, genitori e decisori politici e sindacali per intraprendere un percorso capace di superare le criticità emerse e avrebbe rappresentato in termini concreti una corretta modalità per ripristinare praticamente e non solo a parole la “centralità della scuola” e la “centralità dello studente”.
Ancora una volta un “retropensiero” sociale verso il mondo della scuola e un “retropensiero” da parte dei docenti verso i decisori politici hanno impedito un dialogo e un confronto che avrebbe aiutato a ragionare sul destino delle nuove generazioni e del loro futuro.
Si aprirà con il nuovo Governo e con molti Ministri sicuramente l’opportunità di ragionare in modo approfondito sul destino della scuola, sulle pratiche didattiche da innovare e l’auspicio è che la scuola esca dalla difensiva e sappia e voglia proporre e dare indicazioni precise per migliorare le performance del sistema istruzione.
Dobbiamo abbandonare l’idea che debba essere sempre e solo il Ministro di turno a definire ciò che è necessario alla scuola, ed è auspicabile, invece, un nuovo “protagonismo dei docenti” che in qualità di professionisti qualificati ed esperti propongano e pratichino soluzioni innovative utili e coinvolgenti anche per gli studenti. È necessario, quindi, creare “comunità di pratiche” all’interno di ogni scuola, a livello territoriale, capaci di far tesoro dell’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo prevista dall’art. 7 del DPR 275 del 99 come grande opportunità per dimostrare la capacità di essere “protagonisti” dell’innovazione.
Non si parte da zero! In questo ultimo decennio circa mille Istituzioni Scolastiche, di cui il 50% rappresentato dalle scuole del Sud, aggregate in “Avanguardie educative”, su iniziativa dell’Indire, hanno brillantemente sperimentato nuove strategie didattiche ripensando ai tempi e agli ambienti di apprendimento partendo dall’idea di superare la lezione frontale tradizionale e far uso intelligente delle nuove tecnologie per migliorare i processi di apprendimento in funzione della personalizzazione e affrontare il grave problema della dispersione scolastica che coinvolge ancora il 15% dei nostri giovani.
È necessario creare “Comunità di pratiche” capaci di rilanciare la “mission” dell’autonomia che assegna alle scuole la possibilità di stipulare Patti educativi di comunità con le istituzioni locali, le organizzazioni produttive e sociali, il volontariato operativo del territorio per un progetto educativo che punti al successo formativo.
Come ci ha ammoniti il Papa, nella sua omelia di Pentecoste, non possiamo permetterci di “sprecare questa crisi” e, quindi, è necessario che la scuola e i docenti “intelligenza collettiva” del nostro Paese, vogliano essere protagonisti anche della rinascita culturale attraverso una risposta positiva e “inclusiva” alle numerose fragilità e vulnerabilità messe in evidenza dalla pandemia.
E gli auguri doverosi di buon lavoro al nuovo Ministro siano rivolti e associati anche agli auguri di buon lavoro ai docenti e ai dirigenti scolastici per un nuovo protagonismo culturale che dia speranza al nostro Paese e ai nostri giovani.
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