La questione del rinnovo contrattuale dei 3 milioni (e più) di dipendente pubblici sta tutta nell’articolo 34 della legge di bilancio e in tre cifre che stanno già provocando polemiche (e qualche speranza).
L’articolo infatti stanzia le somme circa 4 miliardi per i contratti pubblici e suddivide la somma in tre anni: 1.100 milioni per il 2019, 1.425 per il 2020 e 1.775 per il 2021.
Apparentemente si tratta di una cifra non del tutto disprezzabile (di fatto è pari a quella impiegata per l’ultimo rinnovo contrattuale da 85 euro lordi medi pro capite), ma se si esamina più attentamente la situazione si scopre che il fondo realmente “contrattabile” fra Aran e sindacati e di gran lunga inferiore.
Bisogna infatti considerare che una parte dello stanziamento risulta di fatto già bloccata: 535 milioni all’anno, per esempio, sono infatti destinati a garantire l’erogazione del cosiddetto “elemento perequativo” a tutti i dipendenti statali con lo stipendio più basso (nella scuola la misura riguarda tutto il personale Ata e tutto il personale docente con una anzianità di servizio fino a 15 anni).
Ci sono poi le risorse legate alla indennità di vacanza contrattuale, cioè all’anticipo che viene riconosciuto ai dipendenti pubblici in attesa che venga sottoscritto il contratto nazionale: si tratta di 550 euro per il 2019 e di 850 a partire dal 2020.
Come si può capire, quindi, la quota effettivamente disponibile per l contrattazione collettiva nazionale risulta tutto sommato abbastanza modesta e si misura nell’ordine di poche centinaia di milioni per l’intero triennio.
Nei giorni scorsi era circolata la voce che la Ministra della Pubblica Amministrazione era già pronta a convocare le organizzazioni sindacali per dare avvio ad un primo giro di consultazioni, anche se per la verità non si capisce bene cosa si debba trattare visto e considerato che le somme sono in qualche modo già predestinate.
Per ora, però, i sindacati non parlano e forse preferiscono aspettare che la legge di bilancio inizi il suo percorso parlamentare.
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