L’approvazione della riforma del pubblico impiego apre le porte al rinnovo del contratto, con cifre variabili che dovrebbero favorire un numero non altissimo di docenti.
Partendo dal fatto che gli aumenti maggiori andranno a chi percepisce meno, per ridurre la “forbice” stipendiale tra i lavoratori, l’obiettivo starebbe nel tutelare chi è tra i 24 e i 26mila euro lordi. Del resto “le parti si impegnano, nella sede dei tavoli di contrattazione, a garantire che gli aumenti contrattuali, nel comune intento di ridurre la forbice retributiva”, c’è scritto nell’accordo del 30 novembre scorso.
Dai calcoli che aveva fatto il governo, la platea è confinata a 150-200mila dipendenti. Secondo i nostri calcoli, però, sarebbero un po’ di più, considerando che solo nella scuola sono stati assunti nell’ultimo biennio ben oltre i 100mila nuovi docenti.
Viene da sé che coloro che percepiscono oltre i 26mila euro, potranno probabilmente contare su un aumento inferiore agli 85 euro lordi medi sinora finanziati. Nella scuola, ad esempio, starebbero fuori dall’aumento maggiorato quasi tutti i docenti che lavorano da oltre 15-20 anni. Ovvero, una bella fetta di quelli di ruolo.
La strada, in ogni caso, sembra ormai tracciata. Tanto che i sindacati puntano a sottoscrivere il contratto in pochissimo tempo: il segretario generale Uil, Carmelo Barbagallo, dice che “entro la fine di giugno vogliamo chiudere”.
Anche la ministra della P.A, Marianna Madia, rassicura: “lavoriamo all’atto di indirizzo”, fischio d’inizio ufficiale delle trattative, che “certamente arriverà prima dell’estate”.
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Barbagallo ha ricordato che i negoziati si snoderanno in quattro diversi tavoli, uno per ogni comparto: funzioni centrali, funzioni locali, sanità e conoscenza (scuola, università e ricerca).
A frenare, però, è la Cgil: “Così come sono configurati gli 80 euro rappresentano un premio contro la contrattazione”, ha detto il 20 maggio il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, parlando dei prossimi rinnovi nella P.A, a margine della commemorazione per Massimo D’Antona.
La “ministra Madia lo sa bene”, visto che la questione “è stata già oggetto di confronto. Ovviamente non si può concludere il contratto dei pubblici senza avere una soluzione che non determini perdite per i lavoratori”, ha concluso Camusso.
Ma cosa c’è da contrattare? Di sicuro, il fatto che che l’aumento da 85 euro è calcolato come media. La via maestra starebbe nel far figurare gli 80 euro come una detrazione fiscale e non un sussidio.
Il segretario confederale della Uil, Antonio Foccillo, propone allora un’altra strada: “congeliamo ad oggi il livello fondi che lo Stato versa per il bonus, in modo che gli scatti contrattuali non si sovrappongano”. Anche in questo caso, a prendere aumenti maggiori sarebbero coloro che guadagnano oggi fino a 25-26mila euro. Naturalmente lordi.
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