L’accordo è vicino, ma ancora non c’è certezza: il rinnovo del contratto della Pubblica Amministrazione, dopo sette anni di vuoto, è ancora in bilico.
A poche ore dall’incontro chiave, programmato per mercoledì 30 novembre a Roma, dal ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia, con i tre segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, ancora non si hanno punti fermi sulla sottoscrizione del testo da entrambi le parti.
Gli 85 euro dovrebbero valere come riferimento generico, senza specificare se è una media o una base di partenza. La cifra esatta di aumenti slitterebbe ad una seconda contrattazione, quella che si avvierà poi a livello di singolo comparto.
Lo conferma il segretario confederale della Cisl, Maurizio Bernava, che spiega: “l’incremento di 85 euro sia un’indicazione di riferimento ed è stata così fin dal primo momento. Poi saranno i contratti a stabilirne la distribuzione”.
Il Governo vuole fermamente “chiudere”. Dopo il ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia, è la volta di quello del Lavoro, Giuliano Poletti, a dirsi “convinto che le condizioni” per chiudere “possano esserci”.
Di certo, al momento, sembrano alleggerirsi gli effetti della sentenza della Consulta, guardando alla trattativa per il pubblico impiego. Restano invece tutte aperte le questioni che toccano la riforma Madia. Sul tema torna anche il titolare dell’Economia, Pier Carlo Padoan, secondo cui la decisione della Corte “è un esempio di come il quadro istituzionale possa creare ostacoli non giustificati”.
Il sindacato più critico rimane la Cgil: “se ci sono le condizioni e le risposte si va avanti, se non ci sono non c’è data che tenga”, ha detto la leader Susanna Camusso. Che poi ribadisce: “Il governo sa quali sono le risposte che mancano: risorse certe e modifica della legge Brunetta e della Buona scuola”. La Cgil, infatti, chiede di precisare nel testo dell’intesa che tutti i comparti siano interessati dalle novità e quindi dal riequilibrio tra legge e contratto.
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Ma per il segretario confederale Uil Antonio Foccillo si salirà a Palazzo Vidoni “per chiudere”.
Altrettanto determinata è Annamaria Furlan: alla vigilia dell’incontro con l’amministrazione si lascia andare sulla presenza di “propositi molto positivi”.
Il nuovo contratto punterà poi sul welfare, ricalcando quel che accade nel privato, dove il rinnovo dei metalmeccanici detta la linea. C’è infatti un’apertura sui fondi pensione e sulla possibilità di estendere la coperta anche alla sanità. Si potrebbero trovare dei meccanismi per favorirne l’adesione, dando più margini al lavoratore, che potrebbe essere interessato ad assicurazioni di diverso tipo.
Il fine è spingere sulla produttività, sul salario accessorio, legando i premi a target oggettivi. Sul punto le parti sono ancora a lavoro: collegare la contrattazione di secondo livello all’incremento dei tassi di presenza, come prevede la bozza iniziale dell’intesa, non è qualcosa di fattibile per una parte del sindacato.
In ogni caso, le parti si sono impegnate a privilegiare i redditi bassi, secondo il modello della ‘piramide rovesciata’.
E siccome i docenti sono tra i dipendenti statali con gli stipendi meno alti (meno di 30mila euro di media (con amministrativi, tecnici e ausiliari che non arrivano nemmeno a 25mila euro), riteniamo corretto dire che saranno proprio loro (soprattutto quelli con meno anni di servizio) a percepire gli aumenti maggiori. Accordo finale permettendo.
Peccato che si tratti, comunque, di cifre tutt’altro che esaltanti: alla resa dei conti, una cifra che, a completamento, potrebbe assestarsi tra i 500 e i 600 euro netti in più l’anno. Tra l’altro, lo ribadiamo, “diluiti” pure nel tempo.
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