A guardare il nuovo contratto del comparto scuola, si ha una sensazione di smarrimento, si cerca, nella selva delle novità, il sentiero per radura illuminata, ma invano. Non resta che la selva oscura.
Il personale ATA, parte della cosiddetta comunità educante, pare essere la squadra di domestici in un vecchio palazzo nobiliare fatiscente.
Sono stati rivisti i profili professionali con definizioni altisonanti, ma essi restano “campane stonate”, ulteriormente appesantiti e di fatto rimasti in un’area B, che in altre amministrazioni pubbliche è un semplice operatore.
È rimasta la “posizione di DSGA”, ma è stata introdotta e sovrapposta la figura professionale di E.Q., elevata qualificazione: dipendenti qualificati con titoli e/o anni di esperienza professionale senza titoli di requisito, ma non di elevata professionalità, come nelle altre amministrazioni pubbliche (forse per ragioni di retribuzioni?).
Si ha la sensazione che il paventato conflitto di competenze, nell’area apicale della gestione delle Istituzioni Scolastiche, tra D.S. e DSGA, si sia voluto risolverla ridimensionando il ruolo del secondo, rendendolo poco più di un assistente amministrativo più qualificato.
Stante così le cose, in una scuola sempre più complessa nella sua gestione, possono ex professori essere inquadrati, con un semplice concorso e senza titoli specifici, nell’area dirigenziale della pubblica amministrazione?
Perché se il ruolo degli ATA è stato, con il nuovo contratto, ridotto a compiti di mera assistenza, gli ATA dovranno essere guidati, indirizzati e supervisionati dai Dirigenti, essendo gli unici confermati come tali.
Unico sollievo è che questo contratto è nato già scaduto.
E visto che la speranza è l’ultima a morire, speriamo nel nuovo contratto, magari ascoltando veramente chi ci lavora nella scuola.
Giovanni Micillo