Domani mattina, martedì 7 giugno, è fissato all’Aran il secondo incontro per il rinnovo del contratto scuola scaduto da oltre 41 mesi. L’Aran, nel suo ruolo di mediatore tra sindacati e Governo, predisponga una proposta e chieda un nuovo atto di indirizzo, aprendo una nuova stagione di relazioni e di accordi: è quanto auspica il segretario della Uil Scuola, Pino Turi.
“I fatti ci dicono che le retribuzioni dei lavoratori italiani (tutti), dati ISTAT negli ultimi trent’anni, sono diminuite del 2.90%. Un caso unico – osserva il segretario generale – in una Unione europea dove si registra una crescita diffusa degli stipendi: dal 276,30% della Lituania al 6.20% della Spagna”.
“Gli stipendi della scuola – sottolinea sempre Turi – non coprono nemmeno l’inflazione, arrivata per cause veramente non prevedibili (pandemia e guerra) al 7%”.
“La scuola, nell’ambito dell’impiego pubblico, rappresenta il bacino più ampio di un mondo a cui servirebbero misure straordinarie. Non certo quelle previste dal D.L. 36. Occorre stabilizzare i precari ed investire sulle persone”.
Una questione, quella del rinnovo contrattuale, che si lega doppio filo con la riforma del reclutamento e della formazione introdotta dal DL 36 e che attualmente è in discussione in Parlamento, in vista della conversione in legge. Il malumore del mondo della scuola è infatti doppio, dal momento che attraversa sia le questioni contrattuali, ancora irrisolte, sia i nodi critici del DL reclutamento e formazione.
Cosa chiederà la Uil scuola al tavolo della trattativa con l’Aran? Aumenti salariali immediati, a compensazione dei mesi di lavoro effettuati con il contratto scuola già scaduto da un triennio (2019/2021). “I lavoratori della scuola sono in credito con il loro datore di lavoro (Stato),” un credito già maturato – spiega Pino Turi. “Lo Stato non può chiedere nulla a questi lavoratori, è lavoro già svolto, e bene (e questi anni memorabili lo dimostrano). L’azione da compiere è dunque quella di dare, tardivamente, le spettanze e consentire a tutto il personale di recuperare, almeno in parte, il potere di acquisto degli stipendi erosi dall’inflazione”.
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