Per il rinnovo del contratto della scuola 2019/21 siamo all’ultima “chiamata” prima della pausa estiva: mercoledì 20 luglio, alle ore 15, i sindacati rappresentativi sono convocati all’Aran per “la prosecuzione della trattativa per il rinnovo del CCNL del personale Istruzione e Ricerca triennio 2019 – 2021 e avente come oggetto di discussione il settore Scuola – risorse contrattuali”.
Diciamolo subito: le possibilità che da questo incontro possano scaturire delle decisioni rilevanti sono vicine allo zero. Prima di tutto perché tutti i sindacati hanno posto la condizione che il rinnovo del triennio passato rimanga legato a doppio filo a quello successivo (il Ccnl 2022/24) e soprattutto, quindi, ad un investimento adeguato nella Legge di Bilancio di fine anno.
Solo che il concomitante dentro-fuori del premier Mario Draghi, dinanzi alle Camere, lascia tutto terribilmente in sospeso (con il pericolo, anzi, di vedere in qualche modo anche pregiudicate le riforme in atto). L’investimento per il personale della scuola diventerebbe, in pratica, pura utopia qualora il Governo dovesse cadere e si andasse ad elezioni anticipate.
Il problema è che nel frattempo docenti e Ata continuano a percepire stipendi davvero troppo bassi: il rapporto Eurydice che per la prima volta viene anticipato (rispetto all’uscita ufficiale di ottobre) con pubblicazione delle tabelle di riferimento dell’anno scolastico 2020-2021, ha detto che ai nostri insegnanti viene corrisposto un importo annuale medio pari ad 8.000 euro in meno rispetto ai colleghi europei. E dopo un servizio di quindici anni il gap arriva ad 11.000 euro. Il top della discrepanza lo toccano i maestri della scuola primaria.
In questa situazione, 60-70 euro netti al mese, forse avrebbero fatto comodo. Ma ai sindacati interessa avere garanzie. E l’unico modo per fare leva sull’amministrazione pubblica è quello di “tenere duro”.
Anche se poi, dallo stesso sindacato giungono spinte e inviti al Governo a chiudere la partita: “è inaccettabile” il “continuo rinvio per rinnovare contratti” in comparti come quello della scuola, per “i medici, la ricerca, gli Enti locali”, ha detto qualche giorno fa il segretario generale della Cisl Luigi Sbarra.
Il problema rimangono le condizioni e le rassicurazioni. Che secondo le organizzazioni di comparto non sono adeguate.
Anche la segretaria generale Cisl Scuola, Ivana Barbacci, si è detta d’accordo “nell’avere al più presto un nuovo contratto, come già avvenuto per altri comparti pubblici”. Solo che ha anche negato la disponibilità “a firmare a qualunque costo”.
Anche i 200 euro assegnati a tutti coloro che percepiscono meno di 35 mila euro vengono mal giudicati: “per il personale della scuola servono interventi strutturali, almeno per allineare in particolar modo, col rinnovo del contratto, gli stipendi all’inflazione”, ha detto Marcello Pacifico dell’Anief, che ha rilanciato il contratto ponte con garanzie del Governo di continuare ad investire sulla scuola.
Le sorti del Governo sono strettamente legate anche al mondo della scuola, come abbiamo spiegato, dato che la caduta di Draghi metterebbe rischio sia il rinnovo del contratto 2019-2021 (i sindacati temono che si freni sulla trattativa poiché le risorse con la nuova Legge di Bilancio sarebbero ad alto rischio); sia la riforma del reclutamento e della formazione docenti (i decreti attuativi, così come il Dpcm atteso entro il 31 luglio, potrebbero restare fermi al palo).
Alla luce di queste considerazioni La Tecnica della Scuola interroga i propri lettori: Draghi deve lasciare l’incarico o deve rimanere?
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