
Non sembra porsi in discesa la strada che porta alla firma del contratto 2022/2024 dei dipendenti in forza al più grande comparto della pubblica amministrazione, quale è quello di Scuola, Università e Ricerca. La convocazione del 27 febbraio all’Aran dei sindacati per l’apertura delle trattative ha infatti prodotto dei commenti di diversi addetti ai lavori e delle stesse organizzazioni sindacali che lasciano presagire più di un problema.
Al tavolo, innanzitutto, si tratteranno dei temi normativi sui quali alcuni sindacati rappresentativi si dicono già da oggi di vedute diverse se non contrapposte: parliamo di argomenti come i nuovi profili professionali Ata, il welfare professionale da introdurre per via contrattuale, la mobilità del personale (su cui pesa tantissimo il vincolo legislativo per i neo-assunti), il middle management.
Il punto sul quale, però, potrebbe evidenziarsi la spaccatura maggiore tra i rappresentanti dei lavoratori è quello degli aumenti: il 6% messo sul piatto, lo stesso assegnato per il resto del pubblico impiego, sebbene rappresenti l’incremento maggiore degli ultimi lustri, viene giustamente indicato da tutti fortemente al di sotto dell’inflazione (che nel triennio è cresciuta quasi tre volte).
Con Flc-Cgil e Uil Scuola Rua tra i più intransigenti nel chiedere risorse ulteriori e a minacciare di non sottoscrivere un accordo che regge su meno di 160 euro lordi di aumento (di cui la metà già assegnati da oltre un anno attraverso l’indennità di vacanza contrattuale).
C’è poi, nel mezzo, anche la questione Rsu, il cui rinnovo è previsto per metà marzo, e che rischia di rendere ancora più complicata la situazione.
Si potrebbe, di fatto, ripetere quanto accaduto al comparto della Sanità proprio in questi giorni, con il rinnovo contrattuale saltato per volontà di tre sindacati che al tavolo con l’Aran superano la maggioranza.
Ad evidenziare il problema è stata Ivana Barbacci, leader della Cisl Scuola: “Sappiamo bene – ha detto la segretaria – che le risorse a disposizione, pur percentualmente superiori a quelle del contratto precedente, non soddisfano pienamente le attese di una categoria che chiede, giustamente, un riallineamento dei trattamenti economici con quelli mediamente erogati in ambito europeo”.
“Mi auguro tuttavia – ha sottolineato Barbacci – che nessuno ceda alla tentazione di inseguire obiettivi irrealistici, magari alla ricerca di qualche consenso in più per le prossime elezioni RSU: sarebbe un grave danno, come già avvenuto in altri comparti dove il contratto non si è potuto rinnovare, un danno che ricadrebbe pienamente e interamente su lavoratrici e lavoratori”.
D’altra parte, l’esperienza ci dice che mai in passato la scuola ha ottenuto finanziamenti pubblici di spessore dopo l’approvazione della Manovra di fine anno approvata dal Governo. E quando si parla di aumenti di contratto, per avere incrementi importanti non basta qualche centinaio di milioni di euro. Tecnicamente e se ci fosse la volontà politica, è vero, sarebbe possibile, ma nella pratica si tratta di una eventualità assai remota.
Cosa potrebbe accadere? È semplice: i sindacati con meno consensi, come Gilda e Anief, potrebbero paradossalmente diventare l’ago della bilancia. Potrebbe dipendere da loro, in sostanza, se quasi un milione e 300 mila dipendenti avranno o meno entro qualche mese un nuovo contratto collettivo nazionale di lavoro.