Tanti i problemi sul campo, dalla percentuale di studenti che potrà seguire le lezioni in presenza, al collegato nodo dei trasporti, alla situazione epidemiologica, con la crescente preoccupazione per la diffusione della variante inglese del virus molto più contagiosa. I maggiori timori si concentrano su come fronteggiare il brusco passaggio da zona rossa, prevista fino al 6 gennaio in tutta Italia, all’esplosione della mobilità il 7 gennaio.
Come e quando sarà possibile riprendere in sicurezza? Se da un lato la ministra Azzolina non ha dubbi sulla data del 7 gennaio, ai vari tavoli tecnici aperti nella Conferenza delle Regioni e, a livello provinciale, nelle riunioni fra autorità locali, prefetti, dirigenti scolastici, aziende di trasporto, si ragiona sulla concreta fattibilità.
Al momento, le soluzioni allo studio lasciano prevedere che ci sarà una certa variabilità regionale o anche provinciale, con orari differenziati dalle 8 alle 9, dalle 8 alle 9,30 o anche con fasce più larghe, perché il trasporto pubblico dovrà essere rafforzato e calibrato tenendo conto dei numeri locali. Sempre che non ci si accordi sulla percentuale del 50% in presenza alle superiori. La proposta, che viene dal Veneto, si sta facendo strada anche in altre Regioni perché consente una mitigazione dell’impatto e comporta dei vantaggi organizzativi.
Da un lato, il presidente Luca Zaia va ripetendo che ci vuole cautela, “l’apertura delle scuole il 7 gennaio va fatta su piani epidemiologici”, perché i ragazzi “sono dei grandi vettori”. Dall’altro, l’assessore regionale all’istruzione, Elena Donazzan, non vede di buon occhio gli orari scaglionati, che sembrano una “idea strampalata”, perché ci sarebbero studenti pendolari “che rientrano a casa alle cinque, alle sei del pomeriggio senza neppure poter usufruire delle mense”.
Anche i dirigenti scolastici, convocati al tavolo con prefetto e società trasporti, pur ammettendo che i ragazzi “si sentono soli” e avrebbero una gran voglia di tornare a scuola, preferirebbero una percentuale in presenza al 50%. Si eviterebbero così i doppi turni, che comportano grossi problemi organizzativi, per gli studenti e le famiglie, dove i genitori lavorano, ma anche nella programmazione degli orari di servizio di docenti e personale Ata, in parte in presenza e in parte a distanza e su doppi turni.
“Il Governo è unito sul riaprire il 7 gennaio, non possiamo più perdere nemmeno un’ora”, dice la Azzolina. Tuttavia molti dubbi cominciano a serpeggiare. Per Agostino Miozzo, coordinatore del Comitato tecnico scientifico, si deve continuare a lavorare per arrivare alla riapertura il prima possibile, ma “il 7 gennaio può anche essere una data simbolica”. Anche Walter Ricciardi, consigliere scientifico del ministro del Salute, ritiene “arduo” tornare tra i banchi in queste condizioni. Le stesse perplessità cominciano a essere espresse da altri “scienziati”. Difficile e pericoloso rientrare a scuola il 7 gennaio, anche per il virologo Giorgio Palù.
Il presidente della regione Puglia, Michele Emiliano, la pensa come Zaia, la scuola è considerata un luogo pericoloso per la nascita di casi e focolai. In particolare la secondaria di II grado, sia per la mobilità studentesca, sia per le varie forme di raggruppamento, prima o dopo le lezioni.
Per Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia Romagna e della Conferenza delle Regioni, “le Regioni sono fortemente mobilitate per garantire la ripresa della didattica in presenza anche nelle scuole superiori. La scuola rappresenta una priorità a cui dobbiamo dare risposte urgenti”. Ma Bonaccini è un pragmatico, e precisa: “È chiaro che occorre muoversi guardando a due parametri imprescindibili: la sicurezza sanitaria ed il quadro epidemiologico da un lato, la sostenibilità del trasporto pubblico locale dall’altro. I tavoli con le prefetture stanno registrando soluzioni e collaborazioni positive. Andiamo avanti con determinazione per fare in modo che una volta decise le modalità delle riaperture delle scuole, dopo le festività, gli studenti e i docenti possano riprogrammare le attività didattiche e gli studi, e non si sia costretti a dannose marce indietro. Per questo occorrono il massimo della collaborazione istituzionale e percorsi condivisi”.
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