Un’istituzione aziendalistica è andata affermandosi negli ultimissimi anni, stravolgendo persino i nomi participiali più interessanti da sempre: docenti, discenti, ovvero coloro che insegnano (da doceo) e quelli che imparano (da disco), dicono molto di più rispetto ad utenti (da utor), che, letteralmente, mi fa venire in mente l’idea di “chi si serve di, o fa uso di”, come si fa con il servizio postale o la banca, dove i contatti si fanno generalmente seriali, con l’anima dei numeri pestata e postata sotto i piedi.
Va rivendicata, innanzitutto, la funzione personalistica di una Scuola che buona non è, lo gridiamo da tempi lontani: gli studenti vanno restituiti all’impegno delle discipline attraverso cui passa l’investimento nel loro futuro e, tramite loro, nel nostro Paese. Il progetto, poi, non è lo straordinarietà di una progettazione: quello, se coordinato, è già implicito nelle programmazioni: eppure, ci si orienta su tantissime attività, che, anziché sviluppare la coscienza critica, la demotivano stancandola. Di tutto, di più per meno, poi!
Questo è il risultato! Di fronte a questa frantumazione di saperi, occorre sfrondare l’inutile, che si è accumulato con pessime legislazioni scolastiche, a favore di quell’insostenibile leggerezza, che una buona educazione, come il famoso romanzo, pone in essere.
Francesco Polopoli
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